Rider. La frontiera mobile della gig economy

Scritto dasu 6 Aprile 2021

Una delle ultime frontiere dello sfruttamento capitalistico è la gig economy, l’economia dei lavoretti, descritta come forma di reddito integrativo per studenti o lavoratori già impiegati.
La realtà è fatta di cottimo, assenza di tutele, paghe bassissime. Chi ci lavora lo fa a tempo pieno, spesso a rischio della vita, come emerge dai numerosi incidenti con morti a feriti, tra coloro che fanno questo mestiere.
La gig economy è il sogno di ogni capitalista: una forma brutale di sfruttamento in cui lavoratrici e lavoratori, privi di ogni diritto, sono completamente isolati l’uno dall’altro e controllati da una piattaforma digitale, malamente retribuiti, licenziabili senza problemi.
Nel caso dei ciclofattorini l’azienda fornisce una app per smartphone attraverso cui il lavoratore viene chiamato quando serve. Un complesso algoritmo decide chi chiamare e chi no creando una graduatoria basata sulla fedeltà e l’affidabilità. In poche parole: se sei disposto a rispondere sempre e comunque, a qualunque ora e con qualunque tempo sali ai vertici della classifica, se sei meno disponibile perdi posizioni. Se ti ammali o scioperi finisci in fondo e non vieni più chiamato. Il lavoratore non ha alcuna garanzia, viene pagato a cottimo con cifre risibili, non gode di ferie, malattie, assicurazioni sul lavoro, deve metterci la bicicletta di suo e persino pagare il borsone per le consegne.
Contrariamente ai sogni padronali la reazione dei lavoratori a queste brutali forme di sfruttamento si sono consolidandate a partire dal 2016 con i primi scioperi a Torino. L’incipit lo hanno dati i numerosi comitati spontanei autorganizzati, anche in alcune occasioni i rider si sono appoggiati ai sindacati di base o a CGIL-CISL-UIL.
Una lotta apparentemente “impossibile” è diventata realtà ed è cresciuta nel tempo. Lavoratori isolati, senza contatti con i colleghi di lavoro e alle dipendenze di una app onnipotente ed immateriale, hanno trovato i modi per incontrarsi, conoscersi, costruire scioperi che sono riusciti a bloccare le consegne per intere giornate.
Tra i successi ottenuti dai ciclofattorini merita di essere ricordato l’accordo raggiunto nel 2018 tra la Riders Union di Bologna e alcune aziende per definire una serie di diritti minimi e l’inquadramento, nei primi mesi del 2019, dei rider come lavoratori dipendenti nel contratto della logistica riconosciuto da una azienda di Firenze. L’inquadramento dei ciclofattorini nel comparto della logistica sarebbe la soluzione più ovvia, ma è duramente osteggiata dai padroni, che non intendono rinunciare ai loro lauti profitti.
Della questione si è interessata anche la politica ed in particolare il movimento 5 stelle che è stato prodigo di promesse, salvo partorire dopo lunga gestazione il consueto compromesso al ribasso (DL 3 settembre 2019 n. 101, convertito nella legge 128/2019). Ai lavoratori sono stati riconosciuti in via teorica alcuni diritti minimali come la tutela dei dati personali e il diritto alla non discriminazione. Viene stabilito che “L’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione sono vietate”. Viene riconosciuta l’assicurazione INAIL contro gli infortuni, il diritto a percepire un compenso minimo orario (con la conseguente proibizione del cottimo), e un’integrazione salariale nel caso di lavoro notturno, festivo o col maltempo.
Il punto fondamentale, cioè la natura giuridica del rapporto di lavoro, viene però pilatescamente lasciata irrisolta, per cui i ciclofattorini, secondo i casi, possono essere considerati lavoratori parasubordinati (cococo), autonomi o subordinati! La decisione viene in definitiva demandata ad “accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”, che – guarda un po’ – possono persino derogare in peggio alle norme di legge!
In altri termini la tutela offerta dalla normativa approvata dal governo Conte è solo carta straccia.

Nel settembre del 2021 il sindacato postfascista UGL e l’associazione padronale Assodelivery hanno sottoscritto un accordo che getta nuovamente i rider nel calderone del lavoro autonomo e reintroduce dalla finestra quel cottimo che la legge aveva buttato fuori dalla porta. L’accordo riconosce i diritti sindacali solo all’UGL stessa e non agli altri sindacati né tantomeno ai numerosi comitati di base. L’accordo ha suscitato forti reazioni tra i lavoratori, con proclamazioni di agitazioni e scioperi tra cui quello del 26 marzo, indetto dalla Cgil, presa alla sprovvista dalla mossa dell’UGL ed obbligata quindi ad agire di rimessa.
Nel frattempo anche la magistratura, pressata dall’attenzione dell’opinione pubblica, ha assunto iniziative ben più incisive della legge, riconoscendo la natura subordinata del lavoro (Cassazione, 2020) e infliggendo sanzioni alle aziende. Nel febbraio di quest’anno la procura milanese ha stabilito che 60.000 rider vanno regolarizzati come parasubordinati perché“non sono schiavi”.
Va da se che le leggi sono solo il precipitato normativo di rapporti di forza esistenti. Rapporti di forza che solo le lotte fanno pendere dalla parte di chi lavora.
Ce ne ha parlato Mauro De Agostini.

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