LA FINE DELLA FINE DELLA STORIA S.2 #6 – “…A TIME FOR WAR”

La fine della Fine della Storia

Ventiseiesimo giorno di guerra su Gaza.
Le notizie di ieri sono i due bombardamenti con cui Israele ha raso al suolo lo storico campo profughi di Jabaliya dove iniziò la prima Intifada e dove si contano già a decine le vittime. Il portavoce di Tsahal, l’esercito di Israele, il generale Richard Hect, incalzato da Wolf Blitzer della CNN sul fatto che non distinguessero tra civili e Hamas ha candidamente ammesso: “Questa è la tragedia della guerra. Abbiamo detto loro di spostarsi a Sud”.

Come sottolineato da molti analisti Israele sembra avere un piano militare che si va via via palesando ma che resta privo di una chiara visione politica del dopo. Ammesso che sia possibile sconfiggere Hamas, è indispensabile per Israele che non si presenti sotto altre forme nel giro di pochi anni e questo appare impossibile.

L’agenda militare israeliana sembra aver messo in conto la fine della Striscia di Gaza come la conosciamo con la migrazione forzata di centinaia di migliaia di gazawi di cui dovrebbe farsi carico l’Egitto, per il quale Israele avrebbe pronto un formidabile piano di dimezzamento del debito. Il Paese appare però quanto mai recalcitrante e ieri ha espresso, attraverso la voce del suo premier Mostafa Madbouly, di essere disposto a sacrificare milioni di uomini per difendere i proprio confini. L’idea è la costituzione di una enorme fascia di sicurezza verso Israele che taglierebbe in due la Striscia, creando una zona cuscinetto militarizzata.

Ai nostri microfoni Michele Giorgio, corrispondente de Il Manifesto dal Medio Oriente, sulla drammatica situazione di Gaza e le presunte intenzioni israeliane.

Dentro l’assalto israeliano c’è la resistenza di Hamas di cui è difficile apprezzare la consistenza. Potrebbe essere piegata in qualche settimana ma anche durare mesi, visto che la formazione sembra in grado di portare a segno alcune controffensive grazie a una rete di tunnel ancora sconosciuta all’esercito israeliano. Il tempo sembrerebbe giocare in favore della Palestina perché continuerebbe a crescere la pressione internazionale su Israele e perché potrebbe emergere un protagonismo arabo, anche delle masse, che spingerebbe verso una regionalizzazione del conflitto; in particolare appare esplosiva la situazione in Cisgiordania, dove i coloni spadroneggiano protetti dall’esercito. Intanto l’Iran si è giocato la carta dello Yemen, che dal 31 ottobre è ufficialmente in guerra con Israele, ma sembrerebbe più una mossa politica che militare e rimane aperta la questione se e quando agirà Hezbollah, che rappresenta il pericolo più immediato per Israele.

Intanto il massacro in atto sembra muovere qualcosa di inedito a certi livelli medio-alti della società americana, da sempre il miglior alleato di Israele che, però, sembra mostrare alcune crepe soprattutto nel mondo accademico e studentesco ma anche nella componente ebraica giovanile (e ovviamente a vari livelli del Partito Democratico, dove le minoranze arabe hanno un qualche peso).
Sulle manifestazioni che hanno interessato in particolare tre grandi città americane una corrispondenza con Felice Mometti da New York.

Ascolta il podcast:

 

MATERIALI

Elijah J. Magnier – Il pantano di Gaza: La guerra mediatica e psicologica e la leadership di Netanyahu sotto il microscopio

Orlando Trinchi – Gaza, il politologo israeliano Neve Gordon: “Israele vuole ottenere la deterrenza attraverso la punizione collettiva dei palestinesi”

Franz Baraggino  – Gaza, l’ipotesi dei due Stati ha ancora senso? Lo storico Lorenzo Kamel: “Soluzione più giusta. È una chimera dal ’47 anche per ipocrisie Usa e indifferenza Ue”

Michele Giorgio – Nuova Nakba. Dal 1948 molti politici dicono che non è stato finito il lavoro – Intervista all’analista palestinese Diana Buttu

Leila Seurat – Le Hamas veut parler au nom des Palestiniens (traduzione italiana qui)

Congressional Staffers Are Turning Against Israel. Here’s What One of Them Told Us




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