India: un paese in fermento
Scritto dainfosu 25 Febbraio 2016
L’India delle contraddizioni, come si dice, questa volta sta mostrando al mondo una polarizzazione inconsueta, abdicando al ruolo, noto a tutti, di un paese dalla povertà sterminata opposta a un Pil «galoppante» sbandierato ai quattro venti come vera testimonianza della «rinascita indiana». Questa volta, al contrario, le due Indie a confronto sono quella ultranazionalista hindu, la base dei «falchi» del Bharatiya Janata Party (Bjp) al governo, e quella laica e progressista, rimasta orfana di riferimenti politici chiari dopo la debacle dell’Indian National Congress (Inc), che già faticava a tenere testa alle istanze più avanzate della parte colta e benestante del paese. Lo scorso 12 febbraio, col benestare del rettore in carica da appena due settimane, uomini in divisa e in borghese sono entrati nei dormitori dell’ateneo per arrestare Kanhaiya Kumar, leader del sindacato studentesco di Jnu (Jnusu). L’accusa: aver pronunciato, durante un evento di protesta all’interno del campus il 9 febbraio, slogan «anti nazionali». Un presunto crimine che, secondo il governo in carica, configura il reato di «sedizione», fino a 10 anni di carcere. Come si dirà i video sono stati manipolati e si è cercato di far passare per islamista uno studente che si professa “ateo e comunista” ma anche qui siamo difronte a una declinazione particolare dell’isteria islamofoba che vediamo dispiegata a molte latitudini. Decine di migliaia di studenti hanno reagito alla mano pesante di Modi e istanze più avanzate (rispetto delle donne, fine del sistema delle caste, maggiore equità sociale) sono diventate argomento di discussione e azione a vari livelli. Mentre gli studenti si mobilitavano però erano altre le notizie made in India che attiravano i media italiani. Ovvero milioni di persone (e anche intere fabbriche) lasciate senza acqua da una protesta organizzata di tutt’altro segno. Una casta mediamente benestante e proprietaria, i Jat, si erano mobilitati contro il partito di governo (del quale costituiscono in buona parte un blocco elettorale) per ottenere delle quote privilegiate di assegnazione nell’ambito degli impieghi pubblici. Posti destinati alle classi più povere che questa casta ( come in precedenza i patel) pretende per sé. Una storia di egoismi di classe (o casta) certo, ma anche la storia di un capitalismo e di una modernizzazione che si stanno producendo senza la formazione di una vera classe media legata al sistema del lavoro salariato. Intere caste rurali che non trovano una collocazione (comoda) all’interno della formidabile “rinascita indiana”.
Ne abbiamo parlato con Matteo Miavaldi, giornalista e scrittore residente a Nuova Delhi.