Amianto killer: consapevolezza etica oltre alle condanne
Scritto dainfosu 22 Luglio 2016
L’attualità vede molte notizie in cui il caso amianto viene alla ribalta. Ormai le situazioni di malattia e morte sono andati a regime e continuano a esserci senza che facciano notizia o suscitino alcun scalpore; ma per altro questo non è mai avvenuto realmente, perché le morti di questa strage sono diluite nel tempo e non assumono mai i contorni della strage mediatica che ha bisogno della concentrazione di morti in uno spazio e tempo relativamente brevi; invece le fonti di informazione si eccitano di fronte ai processi, soprattutto se vedono come imputati personaggi eminenti come i fratelli De Benedetti – ma in questo caso non c’è quasi traccia nelle testate del gruppo di famiglia –, che sono stati condannati in prima istanza e rischiano una nuova incriminazione per altri morti di quelli che silenziosamente continuano a spegnersi per colpa delle sciagurate scelte delle condizioni di lavoro degli anni Settanta e Ottanta in Olivetti. Ulteriore addentellato con l’attualità è la decisione della Corte costituzionale di considerare processabile il magnate svizzero Schmidheiny nel nuovo processo Eternit, dove viene contestato l’omicidio volontario di 258 vittime dell’amianto.
Com’è ovvio, a noi non interessa che qualcuno finisca in galera (o i cavilli in latinorum del ne bis in idem), quanto piuttosto che più nessuno debba rimetterci la vita per feroci valutazioni di profitto e se un risvolto positivo si può immaginare in questo ambito giudiziario è che pare possa fare breccia una nuova consapevolezza e un riconoscimento di responsabilità per quello che riguarda le condizioni di vita e lavoro, perciò con piacere abbiamo sentito Michele del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro ribadire questo concetto.