Persecuzioni cumulative per detenuti da annientare: il caso Lioce
Scritto dainfosu 15 Settembre 2017
Lo stato è sempre punitivo con i suoi nemici. Lo è anche solo per ribadire la supremazia di classe del potere su chi appartiene a classi subalterne. Diventa feroce con coloro che si sono contrapposti e riescono a resistere alle pressioni fisiche e psicologiche di una contenzione disumana che dura da 12 anni come nel caso di Nadia Lioce, combattente della lotta armata in isolamento dal 2005; e ora la sua detenzione è stata pure inasprita dalle nuove regole del famigerato 41bis, con la riduzione anche dei libri e dell’accesso alla già scarsa informazione.
Alla pena da scontare per pure ragioni punitive si aggiunge oggi la farsa di questo processo, la cui prima udienza era prevista oggi 15 settembre 2017 (dopo il rinvio di luglio per un vizio ridicolo: non avevano trovato l’accusata – che marciva in carcere da dieci anni – per consegnarle l’ingiunzione), intentato ai suoi danni in modo pretestuoso pescando alla rinfusa dal mazzo di leggi del codice penale (si può sempre adattare qualcosa per perseguire il cittadino): oltraggio a pubblico ufficiale per aver insultato un agente penitenziario e disturbo delle occupazione o del riposo delle persone, perché aveva fatto una battitura tre anni fa dentro la sua cella per protestare contro le ulteriori restrizioni della sua detenzione, che già di per sé è sempre indegna di un paese civile, ma così diventa tortura e tentativo di annientamento di una persona.
Abbiamo parlato di questo e di altri aspetti correlati con un compagno del Collettivo contro la repressione per un Soccorso rosso
Alcune notizie ci sono poi giunte a seguito di questa mattinata di normale persecuzione. Intanto l’avvocato di Nadia Lioce è stata bloccata in autostrada per un casuale “controllo”, durante il quale sono stati sollevati problemi relativi a dettagli relativi alle infinite norme inventate per vessare gli automobilisti e trovare sempre qualche motivo per impedire ai cittadini di vivere, utili inparticolare in questi casi. L’imputata è stata “preseente” in videoconferenza e si è scoperto che il dibattito processuale si è reso “necessario” a seguito dell’accumulo di 70 richiami e censure in carcere per le proteste derivanti anche dall’abitudine di perquisire la sua cella almeno una volta al giorno, sottraendole ogni volta qualvche oggettino essenziale per la sua vita di reclusa in isolamento, come per esempio un elastico per trattenere i capelli. Per ognuno di questi richiami ha acumulato 10 giorni di punizione (quindi 700 giorni di ulteriore tortura inflittale dallo stato in modalità ferocemente repressiva). In concomitanza dell’udienza sono stati inscenati presidi in molte città di fronte ai Palazzi di “Giustizia”: a Torino la presenza della digos era tuuto tranne che discreta e ridotta, ma si è potuto srotolare uno striscione che riportava la scritta: ” 41bis tortura di stato. Sosteniamo i rivoluzionari prigionieri”.
Questo accanimento non sembra piegare la volontà di Nadia, per quanto allontanata dal mondo e priva di notizie, informazioni, contatti, corrispondenza negata, censurata, non inoltrata, non sembra nonostante le vessazioni degli aguzzini secondini che intenda arrendersi e nemmeno quanto possa apprezzare le raccolte firme in suo favore: sembra maggiormente interessata a denunciare l’orrore del regime di 41bis, evidentemente la deprivazione psichica, l’isolamenteo totale e permanente, insomma la tortura bianca non è riuscita nell’intento di annientare personalità e identità di Nadia Lioce.