Sequestro Iuventa e collaborazioni italo-libiche: tasselli della guerra contro i migranti
Scritto dainfosu 1 Ottobre 2017
Da agosto la Procura trapanese sta portando avanti una campagna di criminalizzazione dell’operato delle Ong nel mar Mediterraneo. Oltre a dover sottoscrivere un codice di comportamento per poter soccorrere in mare, codice che alcune sigle si sono rifiutate di firmare visto che prevede anche l’obbligo di avere a bordo personale della guardia costiera, alcune Ong si sono viste bloccare i mezzi a causa di inchieste giudiziarie create ad hoc, come analizzato in un recente articolo dal titolo emblematico “Dalla guerra ai migranti alla guerra alle ong. Lo stato di emergenza è la regola“.
È questo il caso che ha portato al sequestro della nave Iuventa di proprietà dell’ong Jugend Rettet, che dovrà inoltre rispondere in Tribunale del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Questa indagine nasconde qualcosa di torbido e pericoloso come svela un’inchiesta di Famiglia Cristiana che ha palesato il ruolo di due contractors privati che lavoravano sull’imbarcazione e che hanno fornito informazioni direttamente all’Aise, i servizi segreti esteri. L’inchiesta parla poi dei legami tra l’IMI security service, di cui facevano parte appunto i due testimoni e Defend Europe, il gruppo della nave identitaria C-star che da quest’estate disturba le Ong nelle operazioni di soccorso in mare. Una vicenda melmosa che rimarca i legami di collaborazione pericolosa tra servizi segreti, agenzie di sicurezza privata e destra estrema.
E mentre il governo reprime le Ong non smette di agire contro le persone che vogliono raggiungere l’Europa. Attraverso il Ministro Unico Minniti si siglano accordi di natura militare ed economica con i Paesi di provenienza o transizione, come quelli firmati con la Libia che prevedono tra il resto anche l’addestramento da parte italiana del personale militare libico. E tutto ciò per spostare sempre più lontano i confini d’Europa e allontanare dagli occhi dell’opinione pubblica occidentale lo scempio della guerra combattuta contro i migranti lasciati morire nei deserti africani, nei lager libici o sulle coste; insomma ovunque, purché non sia in terra europea e sotto i nostri occhi.
Abbiamo intervistato Antonio Mazzeo per un commento.
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