Morti sul lavoro: c’è bisogno di un cambio di passo

Scritto dasu 8 Aprile 2018

158 i morti sul lavoro dall’inizio del 2018: una strage lenta e continua che nelle ultime due settimane ha avuto un’impennata significativa. La domanda sorge spontanea: cosa fanno i sindacati in questo contesto? La risposta nelle città italiane teatro degli incidenti mortali è stata diversa ma, come ormai sempre più spesso avviene, rivolta al ribasso. Un’ora di sciopero, qualche minuto di silenzio, la promessa di dedicare ai morti la data del Primo Maggio. E laddove la reazione è stata significativa, come a Genova con lo sciopero di 24 ore e il blocco dei varchi di settimana scorsa, lo si deve solamente ai lavoratori che hanno imposto da subito il fermo totale delle attività del porto costringendo il sindacato a dare loro copertura. Ma nella maggior parte dei casi le ditte non chiudono e le attività produttive continuano, con la sola eccezione degli spazi circoscritti dove sono avvenuti gli incidenti che vengono sequestrati per le indagini di routine.

È troppo poco. Non si può accettare che la vita di chi lavora valga giusto un minuto di raccoglimento e tanti saluti, fino al prossimo incidente. Le cause di tali tragedie sono note; al di là di ogni singolo episodio e oltre la consapevolezza della pericolosità ineliminabile insita in alcune mansioni, il filo rosso è la mancanza degli investimenti aziendali in sicurezza e manutenzione. Sono queste le voci nel bilancio che, assieme al costo della manodopera, subiscono i tagli più significativi nel tentativo di recuperare un po’ di profitto in più.

Le responsabilità sono chiare, le motivazioni pure; resta solo da far qualcosa, organizzarsi, scioperare. Insomma smettere di subire condizioni lavorative che a volte, ma comunque troppo spesso, portano alla morte. I sindacati  dimostrano di continuo di fare perlopiù i propri interessi. Non resta altro dunque che lo sciopero generale organizzato dalla base che dia un segnale dirompente, un cambio di passo che possa portare a dire che queste morti non siano state vane.

Ne abbiamo parlato con Eliana Como della Fiom Cgil di Treviglio, in particolare a proposito delle due morti di Pasqua alla Ecb, perché è una ditta emblematica, in quanto predisposta a produrre morti, vista l’indifferenza verso la sicurezza e tutta proietta alla massimizzazione del profitto. Infatti la società fa parte di un piccolo gruppo da cui dipendono 50 lavoratori; oltre alla Ecb di Treviglio ( 32 dipendenti circa)  il gruppo ha una partecipazione nella Sc Clean TECH International Srl in Romania e opera anche in località Sorgà (VR)  con 13 dipendenti per la produzione di mangimi semplici.

Guarda caso l’Assetto societario è cambiato dal luglio 2017, passando dalla famiglia Bergamini alla Società tedesca SARIA INTERNATIONAL con sede legale a Milano; il gruppo ha un volume di affari attorno ai 60 milioni di euro (a treviglio il ricavato si aggira sui 55 milioni). L’azienda nel corso degli ultimi  10 anni ha investito meno di 4 milioni di euro cioè ha effettuato un rinnovamento del solo 10 per cento di tutto il valore degli impianti di produzione e i costi di manutenzione dell’azienda incidono per circa l’1 per cento sul fatturato e, cosa sorprendente, sono in calo negli ultimi anni passando da un impegno di oltre 900 mila euro del 2015 a circa 560 del 2016: quasi dimezzati.

Intanto i titolari dell’azienda sino al 2016 si sono lautamente remunerati in qualità di amministratori dal 2012 al 2016 per un totale di circa 6 milioni di euro, attingendo ampiamente dagli utili dell’azienda che nello stesso periodo sono ammontati a 27 milioni.

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Di lavoro si muore sempre più spesso

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