Strategie petrolifere in un mondo ancora troppo fossile
Scritto dainfosu 25 Maggio 2018
Nonostante le pulsioni a rinnovare le fonti energetiche, l’avvento dell’era Trump perpetua l’importanza del petrolio e dei suoi fornitori, in primis gli alleati del presidente americano, che per la scelta di campo operata a favore dei sunniti sauditi ha già stralciato gli accordi con lo sciismo iraniano e va proseguendo nella direzione di dividere il mondo tra stati che assecondano gli interessi della sua parte di produttori e gli altri da ridurre alla ragione attraverso dazi e altre forme di convincimento forzato.
Gli accordi di Obama con il mondo persiano, avevano costretto i sauditi a una strategia di ribasso del prezzo del petrolio per impedire che l’Iran potesse superare crisi di liquidità e avesse guadagni tali da aiutare gli avversari di sauditi e israeliani nell’area mediorientale, in primis gli Houti yemeniti. Ora che scatteranno sanzioni americane di nuovo contro il regime degli ayatollah, il prezzo può di nuovo salire e infatti ha raggiunto e superato la soglia degli 80 dollari al barile, scatenando nuovamente un riequilibrio a livello globale.
Questo avviene anche per un altro stato soggetto a sanzioni, il Venezuela, che dal crollo del prezzo del petrolio si è trovato a dover affrontare la crisi più grave dall’avvento del bolivarismo; senza poter nemmeno riuscire a far fronte alla domanda di petrolio che gli arriva dai suoi maggiori clienti, Cina e India, i quali avrebbero tutto da guadagnare da minori speculazioni sull’oro nero, che è usato in chiave geopolitica, aprendo e chiudendo i rubinetti e decretando le montagne russe del prezzo, ma anche suggerendo nuove alleanze e strategie alle grosse potenze: Pechino e Delhi probabilmente non seguiranno gli Usa nella loro sconsiderata campagna di sanzioni all’Iran, voluta da Riyad.
In questi giorni a San Pietroburgo fervono gli incontri che vedono protagonista anche la Russia putiniana che sta operando accordi con i sauditi stessi, intanto i dati percentuali stanno sancendo il sorpasso dello shale oil della regione texana in quanto a produzione mondiale, così che gli Usa sono diventati esportatori per 10 milioni di barili al giorno. Eppure il sistema è fragile e abbisogna ancora di supporto: gli Stati Uniti, nonostante il boom petrolifero, non sono al riparo dagli scossoni del mercato e non possono fare a meno degli alleati, mentre i dazi stessi sull’acciaio non aiutano la costruzione di pipeline indispensabili all’espansione.
Le incognite, le conseguenze e le variabili geopolitiche in gioco sono tante, perciò abbiamo chiesto a Marco Dell’Aguzzo di aiutarci a orientarci in questo intreccio di interessi contrastanti tra loro a livello globale, dopo cha abbiamo letto il suo bell’articolo al riguardo: