La morte di Navalny e gli incubi dello Zar

Scritto dasu 23 Febbraio 2024

Aleksej Naval’nyj è morto il 16 febbraio. Leader unico di opposizione al regime di Putin stava scontando una condanna a 19 anni di “regime speciale” in un carcere di massima sicurezza a Kharp, nel Circolo polare artico.

Le circostanze della sua morte non sono chiare, ma già le imputazioni per cui era stato tradotto in carcere apparivano sufficientemente pretestuose da farne intendere il ruolo di prigioniero politico, e lasciano dunque pochi dubbi sul fatto che si sia trattato di un assassinio.

Prevedibile è anche che la propaganda atlantista avrebbe esaltato la sua figura per screditare il nemico russo. Così mentre Biden incontra la vedova, i paesi europei (non tutti) promettono di rinnovare le sanzioni nei confronti della Russia e Giorgia Meloni vola da Zelensky per incoraggiare il prosieguo di una guerra che giunge al suo secondo, logorante, anniversario, portandosi dietro solo macerie e morte.

In questo scenario di sapore novecentesco, la figura di Naval’nyj assume dei significati interessanti, che vanno oltre il suo essere un personaggio controverso e pressoché privo di ideologia, ma assai dotato di opportunismo politico. Scrive Ilya Budraitskis su  Jacobin che non possiamo capire quello che sta succedendo in Russia se non consideriamo l’enorme mobilitazione popolare che alcune istanze strumentalmente sollevate dall’oppositore di Putin hanno generato. Così come è impossibile comprendere la politicizzazione di migliaia di giovani che, all’interno dei “quartieri generali” di costruzione della propaganda d’opposizione, costituiscono un potenziale bacino di mobilitazione rispetto a temi come l’ingiustizia sociale e la ridistribuzione di ricchezze.

Dai nostri microfoni, un approfondimento sulla Russia del presente e qualche ipotesi su quella del futuro, con Salvatore Cannavò, autore di un recente articolo sul tema.

Buon ascolto!

 

 

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