Martedì 5 agosto. Le ruspe demoliscono un’altra porzione della baraccopoli sorta lungo le rive dello Stura, di fronte all’Iveco. E’ la seconda volta in poche settimane. I giornali parlano di degrado, abusivi, pulizia.
I rom di lungo Stura Lazio sono quasi tutti rumeni. In Romania non ci sono campi “nomadi” perché non ci sono nomadi. Chi arriva in Italia o in Francia viene etichettato come “nomade”, vagabondo, perdigiorno e relegato nei campi. Sono i campi che ti rendono zingaro, persona di passaggio per volontà dello Stato.
I mestieri tradizionali della gente rom, la riparazione delle pentole, l’addestramento dei cavalli, gli spettacoli di strada sono scomparsi come tanti altri mestieri “tradizionali” dei gagi.
I calderai rom, che viaggiavano in una regione, passando ogni anno o stagione sono spariti come i fini ebanisti piemontesi, cui la città di Torino dedica le vie.
Il nomadismo era legato al lavoro: sparito il lavoro, sparito il nomadismo. I contadini poveri piemontesi cent’anni fa in inverno andavano in Francia a fare i muratori: il loro era un nomadismo stagionale. Ogni primavera valicavano nuovamente le Alpi per tornare alle loro case.
I sinti piemontesi, che vivono nella nostra regione da 700 anni, parlano un dialetto piemu da campagnini non viaggiano più. Gli unici sinti che si muovono ancora sono quelli dei circhi: i giostrai viaggiano sempre meno, si cercano un posto fisso e lì vivono la loro vita.
Gli sgomberati di lungo Stura Lazio non hanno prospettive di trovare una casa. Più facile trovare un lavoro che una casa. Chi non ha una casa è tout court pericoloso. Così come l’uroboro che si morde la coda nutrendosi di se stesso, il razzismo istituzionale genera politiche di esclusione sociale: l’esclusione alimenta a sua volta il razzismo.
Nei fatti gli sgomberi di queste settimane sono solo operazioni di facciata. Non tutte le baracche sono state tirate giù e presto l’area tornerà a popolarsi di uomini, donne e bambini che non hanno altro posto che un’area alluvionabile e pericolosa lontana anni luce dalle case dove vivono i gagi.
Gli stessi gagi che profittano della presenza delle baracche per trasformare l’area nella propria discarica abusiva. I cronisti dei quotidiani cittadini cesellano la loro prosa su quei cumuli di immondizia. La dignità di chi è forzato a viverci viene schiacciata da un pregiudizio che si autoalimenta.
Ne abbiamo parlato con Cecilia, attivista antirazzista torinese.
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2014 08 06 cecilia sgombero lungo stura