BASTIONI DI ORIONE 26/06/2025 – COSA C’ENTRA IL CORRIDOIO DI LOBITO CON LA TREGUA IN KIVU FIRMATA A WASHINGTON E COSA C’ENTRA IL CORRIDOIO DI ABRAMO CON IL NUCLEARE IRANIANO?

Può apparire strano, ma la risposta alla domanda del titolo è Qatar. Può apparire forzata o arzigogolata e viene contestualizzato più facilmente l’apporto della petromonarchia nel discorso sviluppato da Laura Silvia Battaglia, perché il territorio che ospitava la base americana bombardata per scherzo telefonato dai pasdaran era ospitata nel sultanato di Al-Thani, e non solo perché l’argomento era adiacente alla analisi della messinscena tra grandi potenze per far accettare al resto del mondo il nuovo assetto del Sudovest asiatico voluto dagli Accordi di Abramo, escludendo l’Iran e i suoi proxy e la Turchia per creare una supply chain alternativa alla Belt Road Initiative; però anche in ambito centrafricano – come ci racconta Massimo Zaurrini – Doha ha ospitato i negoziati tra Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Alleanza del fiume Congo (Afc-M23), ed è il terminale delle transazioni finanziarie derivanti dallo sfruttamento delle risorse dei Grandi Laghi, che ora vedranno gli Usa di Trump ergersi a gestori diretti delle miniere  di cobalto e terre rare, che prima erano rubate alla lontana Kinshasa solo da Kagame, alleato delle potenze occidentali, attraverso le sue milizie antihutu. Peraltro anche Tsishekedi è un fiancheggiatore e grande amico di Israele, i cui imprenditori più spregiudicati hanno già operato in Rdc. Insomma affari tra autocrati, piazzisti, teocrati e fascisti in genere che pagano le popolazioni malauguratamente abitanti territori contesi tra potenti.
Quindi ci troviamo di fronte a due Corridoi di merci, il cui progetto faraonico intende variare l’asse commerciale impostato da decenni, spostando i flussi che tagliano l’Africa a metà, congiungendo il porto angolano di Lobito con Beira in Mozambico o Dar es Salaam in Tanzania, Oceano Atlantico con Oceano Indiano; ma anche spostando le direttrici commerciali tra Oriente e Mediterraneo all’interno della Penisola arabica aggirando i flussi impostati un po’ più a nord da Pechino e inserendo i territori controllati da Israele. A tanto ci ha portato aprire il vaso di Pandora della Guerra dei 12 giorni da un lato e la sbandierata tregua (supposta) tra Congo e Ruanda…



 

A Laura Silvia Battaglia, voce di “Radio3Mondo” e raffinata esperta della cultura dei paesi del Sudovest asiatico, abbiamo chiesto di inquadrare nell’ottica dei Paesi del Golfo il giudizio sulla strategia che ispira il rivolgimento dell’equilibrio nell’area: l’escalation sionista mette in scena un superamento del Diritto internazionale e del concetto di democrazia per imporre una configurazione del Vicino Oriente e dei suoi corridoi commerciali alternativi alla Bri cinese come illustrato tempo fa dallo stesso Netanyahu: annientamento dei proxy iraniani e ridimensionamento della Repubblica islamica stessa a favore della penisola arabica, alleata e complice con gli accordi di Abramo, con regimi autoritari e in funzione anticinese. La causa scatenante – il nucleare iraniano – sembra poco o nulla interessante persino nei suoi risultati (basta la narrazione presidenziale attraverso Truth, che non può essere messa in discussione), perché forse l’obiettivo vero è probabilmente un altro (magari Teheran uscirà dalla non proliferazione nucleare e non ci saranno più controlli).
Il primo elemento che salta agli occhi è la centralità del Qatar, per la sua vicinanza all’Iran, per il suo coinvolgimento in ogni trattativa mondiale (Afghanistan, Palestina… Kivu), Al-Thani sempre attivo diplomaticamente e con la potenza mediatica sul mondo arabo, eppure è stato emblematicamente il primo a essere colpito dalla rappresaglia teatrale dei Turbanti. Il Qatar dipende integralmente da acquisti dall’estero, non produce nulla e la chiusura dello Stretto di Ormuz lo avrebbe soffocato.
Il regime change a Tehran è nei piani israeliani (non in quelli trumpiani), ma il piano di riportare la dinastia Pahlavi al potere non potrebbe essere accettata dalla nazione civile iraniana che vive in un mondo parallelo a quello del potere detenuto che fa giochi internazionali, il potere è detenuto dai pasdaran e le città centrali sono omogenee etnicamente, ma la nazione è estesa enormemente, con un’orografia che non permette di certo un’invasione di stampo iracheno, difficile anche la frammentazione su base etnico-religiosa. La sostituzione dell’attuale regime non si riesce a immaginare da chi possa essere incarnato, perciò è difficile creare un’entità artificiale che sostituisca l’attuale sistema persiano. Benché esista una fronda interna, che però forse non è controllabile dall’esterno, o non ha ancora i mezzi e la mentalità per mettere in atto una rivolta. Solo se le forze di sicurezza solidarizzano con i rivoltosi si potrà avere un successo per il cambiamento. La stretta repressiva svilupperà nuove proteste?
Forse in questa tabula rasa dei paesi nemici di Israele e antagonisti dei sauditi la Turchia si può affrancare perché è un paese Nato e per l’abilità a fungere da cerniera tra mondi, appartenendo sia al mondo Brics che alla Nato, proponendosi come mediatore e mantenendo relazioni con tutti i protagonisti.

Precedenti trasmissioni attinenti a questo argomento si trovano qui


 

Con Massimo Zaurrini, direttore di “Africa&Affari”, affrontiamo lo spostamento dell’asse commerciale dell’Africa centrale in seguito al nuovo interesse statunitense per le risorse africane in funzione anticinese.
In questo quadro si inserisce l’ennesima sceneggiata dell’amministrazione Trump che pretende di imporre una pace nel Nordest del Congo su basi e impegni uguali a quelli che da 20 anni sono divenuti carta straccia nel breve volgere di tempo, l’unica differenza è che Tshisekedi – molto legato alla finanza israeliana – ha “svenduto” il controllo delle risorse del territorio dei Grandi Laghi agli Usa in cambio della risoluzione della guerra con l’M23 e l’Alleanza del Fiume Congo, emanazione del Ruanda, alleato e partner degli anglo-americani. Quindi agli americani interessa in particolare poter sfruttare le miniere in qualche modo e dunque hanno scelto di mettere in sicurezza… i loro investimenti nella regione. Il Qatar è l’hub di arrivo delle merci e degli investimenti e per questo è coinvolto in questo quadro di tregua, essendo ormai Doha la capitale di qualunque accordo internazionale da quello siglato dal Trump.01 con i talebani.
Attorno alla Repubblica democratica del Congo e alle sue ricchezze si sviluppano nuove infrastrutture utili alle nazioni africane che stano tentando di innescare uno sviluppo pieno di promesse e anche pericoli innanzitutto ambientali, ma quanto è l’interesse per gli affari occidentali? Salta all’occhio quel corridoio che, adoperando come terminal il porto angolano di Lobito, ambisce a tracciare supply chain che uniscono Oceano Indiano e Atlantico, fulcro della disputa Cina/Usa sulle merci africane, che il 26 giugno ha appena ricevuto 250 milioni ulteriori per la sua creazione da parte della UE, dopo il mezzo miliardo stanziato da Biden nel suo ultimo viaggio da presidente. Il corridoio di Lobito è bloccato dalla disputa nel Kivu migliaia di chilometri a nord del confine congoloese con lo Zambia, per cui si è operata una variante al progetto iniziale che coinvolgeva il Katanga.
Della strategia fa parte anche il taglio agli USAid, alla Banca africana di sviluppo… il tutto per incentivare gli accordi bilaterali in cui Trump, il mercante, può ricattare, strappare il miglior prezzo, taglieggiare, smaramaldeggiare… gettare fumo negli occhi con la promessa di sviluppo attraverso la Dfc (U.S. Development Finance Corporation); e se si dovesse finalmente spuntare la possibilità di lavorare in loco i materiali grezzi, la devastazione ambientale sarebbe inevitabile.

I precedenti appuntamenti con la geopolitica africana si trovano qui




Radio Blackout 105.25

One station against the nation

Current track
TITLE
ARTIST