BASTIONI DI ORIONE 30/10/2025 – HALLOWEEN MOSTRA IL TRIONFO DELLA NECROPOLITICA GENOCIDIARIA: LA DISUMANIZZAZIONE DELL’AVVERSARIO PASSA DAL DARFUR, TRANSITA DALLE FAVELAS CARIOCA E DALLA WAR ON DRUG E SEGUE IL TRAFFICO DI ARMI TURCHE

In questa puntata di Bastioni cercando di renderci conto dell’entità reale dell’orrore attorno a El-Fasher e in generale di quanto è stato prodotto negli ultimi 3 anni dalla rapacità emiratina sul territorio del Sudan, ci siamo fatti accompagnare da Matteo Palamidesse in quel deserto di umanità ai confini con il Ciad; per poi spostare la nostra attenzione sulla cappa neocoloniale statunitense che va estendendosi sul patio tracero – evidente nei movimenti apparentemente scomposti di Trump che imprime svolte turbocapitaliste autoritarie, blandendo, minacciando, esibendo muscoli, prestando miliardi con ricatti elettorali –, inorridendo con Andrea Cegna di fronte alla consueta efferatezza dei militari carioca; abbiamo quindi concluso la rassegna degli orrori spostandoci in Sudovest asiatico a esaminare il ruolo e le conseguenze dell’industria bellica turca, che vede passaggi di armi e forniture per tutti i conflitti mondiali, per i quali Ankara fa da hub, motivo per cui, come rileva Murat Cinar, Erdoğan ottiene “legittimità” per il paese (ma soprattutto se stesso) da parte dell’amministrazione imperiale di Washington – nonostante la democratura anatolica in corso all’interno e l’innesco di guerre all’estero.
Insomma il filo rosso che unisce le osservazioni dei nostri interlocutori è la disumanizzazione dell’avversario che impronta l’approccio geopolitico, che produce lo sdoganamento genocidiario a Gaza come a El-Fasher, il massacro impunito nelle favelas come nel Sahel, l’aggressione in Donbass come a Maracaibo… con pretesti evanescenti, quali la non restituzione di salme introvabili a mani nude nelle macerie, o il narcotraffico che lambisce le coste venezuelane della sfida bolivariana sicuramente meno di quelle ecuadoriane dell’amico turbocapitalista Noboa.
Moltiplicatori di terrore dopo la caduta di Al-Fasher
El Fasher è un’altra tappa della corsa verso l’abisso intrapresa dall’ordine mondiale dopo che si è sdoganata l’impunità per i più efferati genocidi attizzati da rivalità interne e interessi stranieri, sempre ai danni degli abitanti dei territori contesi.
Quello sudanese è attualmente il conflitto più atroce e spietato per i modi in cui è sparso il terrore e per il ripetersi delle stragi, per l’allargamento della zona investita dalla furia, per la quantità di morti e sfollati, per le condizioni in cui si tenta di sopravvivere agli inseguimenti, torture, stupri ed esecuzioni sommarie. Matteo Palamidesse a fatica tenta di superare l’orrore delle testimonianze, senz ariuscirci, e ci riporta dati e analisi di questo massacro genocidario.
Gli ultimi 18 mesi dell’assedio all’antica capitale del Darfur – non a caso la furia dei janjiaweed si è scatenata in particolare su questa città simbolica degli autoctoni Fur – hanno trovato il loro epilogo in una mattanza a cui il mondo assiste attonito, con le potenze coinvolte che registrano la spartizione tra Hemmedti (sostenuto da Emirates, Abiy Ahmed, Haftar, Israele) e Buhrani, il fantoccio di Turchia Iran e Qatar. In mezzo una popolazione affamata, terrorizzata, stuprata, annientata, i cui corpi vengono gettati in quello stesso fossato costruito dalle Rsf per isolare la città nell’assedio di 550 giorni che ha affamato gli 800mila abitanti a cui si sommavano 200mila profughi.
Il risultato della disumanizzazione del nemico, ormai un presupposto di ogni conflitto da Grozny a Gaza, si coglie in quei video diffusi dai carnefici che si sono accaniti sui 250mila civili rimasti intrappolati dopo la ritirata dell’esercito di Khartoum: le stesse milizie di Dagalo hanno riempito i social con centinaia di video della loro pulizia etnica, dei loro crimini contro l’umanità, per spargere ulteriore terrore e mostrare cosa aspetta i civili laddove si allargherà lo smembramento del Sudan. E la spartizione sembra non accontentare nessuno, quindi il massacro è destinato ad allargarsi ulteriormente.
Megashow di fenomeni marginali a uso imperialista del patio tracero
Il fasciocapitalismo ha intenzione di riprendersi il Latinamerica, e senza fare prigionieri. Il processo avviene con strappi violenti e minatori (come le portaerei al largo di Maracaibo), alternati a sventolio di dollari (in cambio di voti per Milei, prossimo al default economico), esibizione di azioni militari spettacolari (riesumando il bolsonarismo a Rio), blandizie e coperture per i metodi brutali dei cacicchi locali (Noboa in Ecuador, Bukele in Salvador).
Il declino americano ha scatenato dovunque svolte autoritarie caratterizzate da autoritarismo impunito, azioni belliche senza limiti, sostegno finanziario e supporto logistico alle derive fascistoidi in ogni contrapposizione tra potere nazionale statale e stato di diritto delle popolazioni travolte dalla trasformazione delle crisi economiche.
Il trumpismo imperante ha reso questa dottrina ancora più feroce e oppressiva, scatenando i peggiori istinti dei depositari della forza militare.
A maggior ragione la strategia del vecchio reazionario con riferimenti nel passato più o meno recente dell’imperialismo americano si fa sentire nella volontà di tornare a controllare il patio trasero rappresentato dal Latinamerica. La seconda amministrazione Trump riesuma il vecchio pretesto della War on Drugs scatenata da Nixon e resuscitata più volte per giustificare interventismo e imposizione più o meno soft di regimi a lei amici. A partire da questa Guerra ai poveri abbiamo affrontato con Andrea Cegna le intromissioni più evidenti dei gringos nei paesi a sud del Rio Grande.
E allora cominciamo dal disastro per il popolo argentino del risultato elettorale, perché Milei può proseguire con maggiore sicurezza le sue politiche di macelleria sociale fondate sulla paura e sull’appoggio di Trump, pur rastrellando un terzo in meno dei voti di due anni fa. Ma il peronismo è allo sbando, inadeguato e incapace di leggere bisogni ed evoluzione della parte di paese che subisce la Guerra ai poveri, e l’opposizione è fatta soltanto da sindacati e movimenti sociali, che cercano di contrastare la dottrina Monroe di Trump, che si sta sostituendo ai cinesi a livello economico.
E comunque il sindacalismo argentino è corporativo e concertativo, mentre in Ecuador han capito bene che il contrasto al turboliberismo si fa con una strenua resistenza radicale, perciò Conaie riesce a mettere in difficoltà Noboa meglio di quanto non avvenga a Buenos Aires, nonostante una parte di quelli ora in piazza a Quito abbiano preferito disfarsi del correismo, votando il latifondista: di nuovo il tradimento dei moderati ha contribuito alla restaurazione.
Il crimine organizzato spacciato come contropotere e invece è parte del capitale e colluso con il potere, a cui risultano utili per inscenare l’emergenza sicurezza, uccidendo un po’ di paranza di narcos (non certo boss, o luogotenenti di leader del Comando Vermelho) e qualche effetto collaterale nella favela carioca in un nuovo episodio di Guerra ai poveri con la scusa della War on Drugs, buona per tutte le stagioni da Nixon in avanti. La stessa usata da Trump per mobilitare la portaerei Gerald Ford davanti alle coste bolivariane, ben sapendo che ora il narcotraffico batte altre rotte e che il Venezuela in zona è il minor produttore di droghe
.
Ultimi podcast





