Sofia protesta tra rabbia e apprensione; autogolpe nella Narcoguinea Bissau
domenica 7 dicembre 2025
Incuriositi dall’improvvisa discesa in piazza dei bulgari esasperati da corruzione, raddoppio delle imposte, inflazione al 3,8 per cento, spese militari spropositate, apprensione per l’ingresso nell’euro – che non porta mai bene ai cittadini – una classe politica inetta e inamovibile dopo 7 tornate elettorali in poco più di 3 anni, ci siamo rivolti a Francesco Dall’Aglio, a cui per abitudine in coda non abbiamo potuto esimerci dal chiedere aggiornamenti dal fronte ucraino, perché lavora presso l’università di Sofia e conosce perfettamente lingua, storia e politica del paese balcanico. Come al solito con Francesco ne è scaturito un quadro preciso e disincantato delle motivazioni e delle prospettive delle proteste .
Un altro palcoscenico che nella settimana ha presentato una situazione ancora irrisolta, e piuttosto sulfurea, è la Guinea Bissau, dove si è assistito a uno strano golpe a ridosso dello scrutinio elettorale, che da subito è parso un tentativo di Umaro Sissoko Embalò di mantenere il potere nel narcostato, porto di passaggio della droga sudamericana distribuita in Eurasia. Un nuovo episodio che si somma ai molti che stanno scuotendo la regione affacciata sul Golfo di Guinea: jihadismo importato dal Sahel, con il postcolonialismo, ridimensionamento delle potenze europee e importanza di Cina e Russia, Gen Z dall’Africa anglofona… problematiche collegate a difficoltà a far decollare un’economia che non sia di rapina e renda l’Africa un mercato e non un territorio di saccheggio e transito di beni. Ad approfondire questa analisi si è prestato Andrea Spinelli Barrile.
Un paese esasperato testimonia la sfiducia a un mese dall’euro
«Il 26 novembre 2025 Sofia ha vissuto la mobilitazione più imponente degli ultimi anni. Tra le 18.000 e le 22.000 persone hanno riempito il “Triangolo del Potere”, bloccando il centro della capitale e trasformando il dibattito sul bilancio 2026 in una critica all’erosione del dialogo sociale, all’inflazione e al ruolo crescente dei poteri informali nella sfera pubblica»., nell’incipit di Valerio Evangelista per “EastJournal” è riportato il momento in cui è esplosa la contestazione che ribolliva da molto tempo e che già si poteva prevedere dopo le numerose e inutili consultazioni elettorali, che hanno portato a esecutivi palesemente senza legittimazione, ma che hanno portato a incrementi di spesa, soprattutto militare; raddoppi di imposte – che si fondano su un sistema di flat tax al 10 per cento – e di debito pubblico; l’inflazione quasi al 4 per cento; un governo che comprende il partito filorusso, ma che approva più di 6 miliardi di spesa per le armi (da rivolgere contro Mosca)… La manovra ha scontentato tutti, ma stupisce la contestazione da parte dei giovani: non è così scontato vedere teenagers scendere in piazza contro la legge di bilancio, ma probabilmente hanno interpretato la protesta contro la manovra finanziaria come risposta a precarietà, corruzione e soprattutto sfiducia nelle istituzioni, condivisa con tutto il paese e senza che la mobilitazione tragga linfa da organizzazioni e partiti o da atteggiamenti ideologici.
Alcuni indicano il vero obiettivo della protesta non nel premier Zhelyazkov, bensì in Delyan Peevski: oligarca, deputato e co-presidente del Dps, da anni indicato da ong e istituzioni internazionali come uno dei principali centri di potere informale del paese. Pur non facendo parte del governo, Peevski influenza la maggioranza parlamentare e l’agenda legislativa della coalizione di governo, diventando il bersaglio simbolico del malcontento.
Anche in questo caso, nonostante l’entusiasmo di fronte a lotte sociali brulicanti in piazza e che il 1° dicembre hanno visto le bandiere di One Piece puntare direttamente sulle sedi dei partiti di governo e provocando blackout estesi fino al mattino, con Francesco Dall’Aglio, docente proprio all’Università di Sofia, cerchiamo di comprendere meglio il fenomeno che difficilmente riuscirà a ottenere le dimissioni di Rosen Željazkov e tantomeno potrà fermare la macchina che sostituirà dal 1° gennaio il Lev con l’Euro.
Non poteva mancare in coda un accenno alle dichiarazioni putiniane sulla “Piccola Russia”.
Nuovo capitolo delle turbolenze in Africa Occidentale: scontro tra cartelli a Bissau
Il piccolo paese da 2 milioni di abitanti era andato alle urne domenica 23 novembre per scegliere il nuovo presidente. I contendenti principali erano due. Il presidente uscente Umaro Sissoco Embaló e il rappresentante dell’opposizione Fernando Dias, scelto all’ultimo come sostituto del vero leader dell’opposizione Domingos Simões Pereira, che era stato escluso per via giudiziaria.
La Guinea Bissau è un paese povero ma strategicamente rilevante e quindi al centro delle rotte dei trafficanti di cocaina colombiani verso l’Europa e gli Stati Uniti . L’esercito e la politica sono infiltrati dal narcotraffico che determina e condiziona le scelte politiche del paese che fu liberato dalla dominazione portoghese da Amilcar Cabral. Enormi disuguaglianze, repressione verso gli oppositori, ingombrante presenza dell’esercito non nuovo a colpi di stato, condizionamento dei signori della droga fanno della Guinea Bissau un narcostato senza infrastrutture e con deboili istituzioni.
Con il golpe è stato deposto il presidente uscente Umaro Sissoco Embaló, sostituito da un generale dell’esercito. Fin da subito però l’opposizione aveva accusato Embaló di aver orchestrato tutto per non perdere il potere.L’esito delle elezioni del 23 novembre non potrà essere conosciuto a causa della distruzione delle schede elettorali da parte dei militari,forse per impedire una potenziale vittoria dell’opposizione .
Ne parliamo con Andrea Spinelli Barrile giornalista esperto di Afriche.




