Bastioni di Orione a Belem, in Africa Occidentale e nel Saharawi

sabato 15 novembre 2025

Questa settimana ci siamo dedicati dapprima alle proteste degli abitanti dell’Africa occidentale esasperati dalla perpetuazione di regimi autoritari, rintuzzate da un potere ancora postcoloniale che fa da perno al residuo controllo francese sui paesi della Françafrique, scatenate dalla rielezione truffaldina di dinosauri ultranovantenni in Africa occidentale, ponendole a confronto insieme a Roberto Valussi con la contrapposizione della unione dei paesi del Sahel, anch’essi messi in crisi dall’avanzata del jihadismo.
Ci siamo poi spostati di poco verso nord, raggiungendo il Maghreb, in particolare la situazione nella regione dei Saharawi, da più di mezzo secolo alle prese di un’altra forma di colonialismo: la monarchia assoluta marocchina si è sostituita ai francesi, permettendo ancora lo sfruttamento dei fosfati e della pesca nel territorio del Sahara occidentale, dopo aver colonizzato la regione da cui ha cacciato il popolo saharawi. Ora all’Onu si è consumato un nuovo passaggio verso l’annessione marocchina della zona al confine mauritano, ne abbiamo parlato con il nostro consueto interlocutore in materia, Karim Metref.
Abbiamo infine iniziato a occuparci della Cop30 in corso a Belem con Alfredo Somoza, che ha tracciato con chiarezza le modalità, gli intenti e i parziali risultati di una conferenza delel parti svolta per una volta su un campo che avrebbe dovuto essere sensibile alle istanze della difesa dell’ambiente e che la diplomazia internazionale costringe a barcamenarsi cercando di conseguire il risultato condiviso richiesto; parallelamente si è quindi svolto un Controvertice e le popolazioni native si sono prese il palcoscenico a più riprese.

Elezioni africane, presidenti dinosauri e retaggio della Françafrique

Partendo dalle elezioni in Costa d’Avorio che hanno riconfermato il modello autocratico del terzo mandato con l’elezione di Ouattara, legato mani e piedi agli interessi economici e strategici di una Francia in ritirata dallo scenario saheliano, proviamo con Roberto Valussi che scrive per la rivista Nigrizia a decrittare il risultato dei queste elezioni allargando lo sguardo ad altre aree del continente africano.
La serie di colpi di stato che ha cambiato gli equilibri in Mali, Burkina Faso e Niger e la creazione dell’ Alleanza del Sahel (AES) ha spostato il baricentro degli interessi francesi verso la Costa D’Avorio che si consolida come pivot del residuo sistema di potere della Francia in Africa, pur aprendosi anche ad altri interlocutori come gli Stati Uniti e la Cina. Ouattara dopo aver impedito ai potenziali contendenti, Thiam e Gbabo, di presentarsi alle elezioni con artifici legali poco attendibili, ha vinto nonostante le proteste contro il suo ennesimo mandato sulla falsariga di un altro dinosauro africano, Paul Biya, che in Camerun alla tenera età di 92 anni continua a governare dal 1982 .
Si definiscono in questa fase di mutamenti e fratture sociali tre modelli, quello dei colpi di stato militari che con tutti i loro limiti, interpretano il sentimento antifrancese che alberga nella maggioranza demografica dei giovani insofferenti, la continuità delle finte democrazie autocratiche che con la repressione e i brogli danno continuità ad un sistema di potere in agonia e la soluzione elettorale alla senegalese forse non esportabile per le caratteristiche proprie della storia senegalese che incanala il dissenso e la protesta verso un progetto di cambiamento.

L’Onu ha scippato l’indipendenza saharawi

Dopo anni di stallo alle Nazioni Unite, la Risoluzione 2797 del Consiglio di Sicurezza ha ridisegnato il panorama della questione del Sahara Occidentale. Adottata il 31 ottobre senza veto, segna un importante cambiamento strategico: il piano di autonomia marocchino è diventato la base del processo ONU, il Consiglio di sicurezza ha chiaramente sancito l’iniziativa marocchina dell’autonomia come base esclusiva per i negoziati per l’arrivo di una soluzione definitiva al conflitto regionale che ha afflitto la regione per mezzo secolo . Per l’Algeria, la battuta d’arresto diplomatica è tanto più grave in quanto questa risoluzione è stata adottata mentre il paese era già membro del Consiglio di Sicurezza. Per il Marocco, la sfida è cambiata: non si tratta più di convincere gli altri della credibilità del suo piano, ma di dettagliarlo e attuarlo .
Il termine “referendum” non compare più nella nuova risoluzione. l mandato della MINURSO, la missione ONU sul campo, sarà rivisto alla luce dei progressi politici, ponendo così fine al ciclo di proroghe tecniche automatiche. Le Nazioni Unite continuano a menzionare il principio di autodeterminazione, ma non lo collegano più a un referendum .
l Polisario ha reagito timidamente alla risoluzione, semplicemente prendendo nota di alcuni elementi del testo, che costituiscono una deviazione molto pericolosa e senza precedenti dalla base su cui il Consiglio di Sicurezza affronta la questione “come questione di decolonizzazione”. Tuttavia, quattro giorni prima dell’adozione della risoluzione, il Polisario aveva “categoricamente respinto qualsiasi iniziativa come la bozza di risoluzione promossa dagli Stati Uniti “mirava a imporre il piano di autonomia marocchino o a limitare il diritto inalienabile del popolo saharawi di decidere liberamente il proprio futuro”.
La soluzione proposta dall’ONU sulla spinta degli Stati Uniti e la Francia elimina qualsisiai riferimento all’autodeterminazione del popolo saharawi prospettando un’autonomia sotto il controllo del Marocco.
Di questo e della denuncia dell’accordo franco algerino del 1968 ,passata all’Assemblea nazionale su proposta dei lepenisti parliamo con Karim Metref  giornalista algerino

Cop30. Mitigare il clima, almeno nel suo cambiamento

In un mondo sempre più attraversato da conflitti, dove le nazioni sono sempre più  bellicose, sembra reggere a parole l’impegno di ciascuno sulle grandi linee della tutela dell’ambiente. Anche perché dietro al carrozzone mediatico si nascondono anche molte occasioni di business (riconversione, sostenibilità…).
Nel commento di Alfredo Somoza si riscontrano note di parziale ottimismo per l’impostazione della Cop30 e per i primi risultati che Lula può dichiarare conseguiti come i 5 miliardi versati per la creazione di un fondo mondiale per la tutela delle foreste tropicali e dunque Alfredo, che ha partecipato ad alcune edizioni precedenti, ritiene si possa considerare non fallimentare questa edizione improntata al pragmatismo fin dal discorso inaugurale del presidente brasiliano, per quanto sia possibile in simili consessi istituzionali che devono regolare con il bilancino diplomatico i rapporti e le risoluzioni finali, sempre sottoposte a veti contrapposti delle molteplici lobbies presenti, pronte a mettere in stallo obiettivi e finanziamenti – in particolare per il superamento del fossile e l’abbattimento del CO2. 
Infatti il fulcro di questa edizione, a dieci anni dalle promesse disattese della Cop20 parigina, della conferenza climatica è il capitolo dell’istituzione di uno stanziamento di 1300 miliardi per l’incremento dei flussi finanziari verso i paesi vulnerabili (metà della spesa bellica annuale) per mettere sotto controllo gli aspetti più drammatici del cambiamento climatico. Un terreno che vede la Cina protagonista – non presente con i vertici politici ma con i tecnici – è quello inerente all’aspetto tecnologico che prevederebbe secondo precedenti accordi internazionali la neutralità climatica per il 2050, mentre Pechino ci può arrivare già nel 2047; mentre invece l’India non ha né capacità tecnologica, né l’intenzione di rispettare i termini, spostando il traguardo al 2070. 
L’Unfcc che organizza l’evento ha fatto uscire proprio in questi giorni il rapporto sull’impatto economico e climatico della climatizzazione domestica 
Intanto si è svolto parallelamente il “Controvertice” Cúpula dos Povos, che ha dato luogo nell’assemblea conclusiva al Movimento delle Comunità Colpite dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici, polemico con un vertice ufficiale contaminato dalla presenza di molte imprese responsabili di crimini ambientali e persino emissari di crimini petroliferi. Molti nativi sono giunti da ogni paese amazzonico e non solo per rivendicare i diritti delle popolazioni indigene, che peraltro si trovano a casa loro e un migliaio sono anche accreditate all’ingresso, nonostante la Conferenza delle Parti sia riservata dall’Onu a discussioni di carattere tecnico (i leader politici partecipano al vertice preliminare che dovrebbe demarcare i limiti entro i quali negoziare gli accordi finali) ed è il momento in cui gli stati devono essere inchiodati alle loro responsabilità. E stanno facendo sentire la voce e il fiato di chi vive più vicino alla Natura.


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