Gaza. La guerra è finita, l’assedio continua
La tregua siglata due giorni fa tra il governo di Gaza e quello israeliano pone termine ai massacri dell’ultima settimana, ma non all’assedio cui sono sottoposti gli abitanti della Striscia.
Gli Stati Uniti consegnano all’Egitto il ruolo di potenza regionale e il governo Morsi ne approfitta per prendersi una buona fetta di poteri. L’opposizione laica e liberale reagisce riempiendo le piazze ed attaccando le sedi del partito di Morsi.
Anarres ne ha parlato con Salvo Vaccaro, docente all’Università di Palermo.
Ascolta l’intervista: [audio:https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/2012-11-22-salvo-palestina.mp3|titles=2012 11 22 salvo palestina]
La partita che si è giocata negli ultimi giorni sulla pelle di una popolazione stremata dall’embargo non è stata tanto determinata dall’imminente scadenza elettorale in Israele, quanto dalla volontà di spezzare il legame tra Hamas e l’Iran. Nei fatti, al di là della retorica sulla fratellanza araba, i palestinesi non ricevono alcun supporto materiale o militare dai paesi arabi. Hamas ha potuto riarmarsi solo grazie all’appoggio di un paese non arabo e non sunnita come l’Iran.
D’altro canto i palestinesi, specie i profughi, sono sempre stati una spina nel fianco per i paesi vicini. In Libano, nei campi sorti nel 1948 vive una popolazione cui è negato qualsiasi accesso ai diritti civili: non hanno la cittadinanza, non possono partecipare alla vita politica, restano ai margini della società libanese. In Giordania, dove nel 1967 la dirigenza palestinese venne massacrata in quello che passerà alla storia come “settembre nero”, i palestinesi hanno oggi la possibilità di partecipare alla vita economica ed ai commerci, ma restano esclusi dalla politica.
Il futuro pare riservare un destino da bantustan alla popolazione della Cisgiordania, che vive oltre la “barriera di protezione”, spesso privata dell’accesso all’acqua, una risorsa chiave nella regione, passata sotto il controllo dei coloni israeliani. Manodopera a poco prezzo, i palestinesi di Cisgiordania sono obbligati ad una condizione di dipendenza dal potente vicino israeliano.
Le prospettive a Gaza sono ancora peggiori: Gaza è, e probabilmente resterà, una prigione a cielo aperto, chiusa in una morsa d’acciaio dallo strapotere militare israeliano, strangolata politicamente e culturalmente da Hamas.
Nell’immediato il governo islamico di Gaza ne esce rafforzato, come sempre dopo ogni guerra. Ma la vera partita si giocherà nei prossimi mesi, quando si capirà se Hamas sarà capace di ottenere il sostegno economico necessario a ricostruire le strutture distrutte dai bombardamenti israeliani, grazie alle quali ha costruito negli anni il consenso di una società civile povera e permeabile alle sirene dell’islam più radicale. Per paradosso la trasformazione culturale di una popolazione tra le più laiche del vicino oriente è maturata nei lunghi anni dell’occupazione militare e dell’assedio. Le strutture caritative di Hamas, ampiamente finanziate dall’estero, hanno garantito un minimo di assistenza ad una popolazione stremata, rendendola così ostaggio degli integralisti religiosi.
Ad Israele un nemico più duro, oltranzista, meno malleabile alla mediazione politica fa comodo, per giustificare la ferocia dell’assedio che stringe la gente della Striscia.