Le “foibe” tra mito e realtà
Scritto dainfosu 11 Febbraio 2014
Cerchiamo di mettere un po’ di ordine nella ricostruzione delle due stagioni delle cosiddette “foibe” e dell’esodo che ne scaturì, senza che però l’esodo stesso possa essere interamente ricondotto a quelle vicende. Diciamo subito che le parole stesse con cui dieci anni fa Napolitano istituì “La giornata del ricordo” sono inaccettabili sotto molti punti di vista e concernono molto più la sua cattiva coscienza di stalinista incline a giustificare ogni atrocità di stato piuttosto che l’adesione a qualche bagliore di verità storica. In quel discorso Napolitano decide scientemente di utilizzare una categoria che gli storici seri e onesti hanno deciso di espungere dall’interpretazione storica di quelle vicende dalmate e istriane in prevalenza: la pulizia etnica. L’evento, impiantato in maniera forzosa su un discorso indennitario, finisce col riportare tutta la vicenda nell’alveo puzzolente e nazionalista dei “torti” subiti dai soliti “italiani brava gente”.
Siamo partiti dalla fine della guerra mondiale, passando per l’invasione della Iugoslavia voluta da Hitler e per i lager costruiti dagli italiani in Iugoslavia e in Italia, nonché per le leggi fasciste di Gentile. Una divagazione doverosa al fine di ricostruire il terreno su cui maturò la repressione che con motivazioni diverse caratterizzò entrambe le fasi delle “foibe” che interessarono cittadini italiani o di origini italiane (anche se il termine non è sempre preciso).
La questione delle “foibe” non può prescindere, pur nel rispetto della verità storica, dalla valutazione degli interessi politici che le si agitano alle spalle: la riabilitazione dei vari schieramenti neofascisti, la costruzione di un discorso nazionalista che scarichi le responsabilità delle atrocità commesse nelle avventure coloniali, la riabilitazione di un establishment ex comunista colluso con lo stalinismo e aduso a difendere i massacri di stato.
Chiarito questo, appare comunque miope oltre che ingiusto ai nostri occhi, lasciare campo libero, nella costruzione della memoria di quelle vicende, ai pruriti nazionalisti o ai veri fascismi minimizzando la tragedia dell’esodo di centinaia di migliaia di persone e la morte di altre migliaia.
Abbiamo raggiunto al telefono un giovane e bravo storico torinese, Enrico Miletto, poco incline al revisionismo di matrice fascista, e Claudio Venza, un compagno, anch’egli storico di mestiere, ma dell’università di Trieste.