Brasile. Bolsonaro come Trump?

Scritto dasu 10 Gennaio 2023

Le analogie tra Jair Bolsonaro e Donald Trump sono tante. Entrambi interpretano gli umori di una destra diffusa rancorosa, complottista, spaurita da un processo di globalizzazione dell’economia che non si limita a tritare le vite dei più poveri ma ha ormai investito ad ogni latitudine la classe media autoctona.
Ma la distanza tra il Brasile e gli Stati Uniti è molto più che geografica.
L’assalto al parlamento a Brasilia è fallito e non avrebbe potuto essere altrimenti, visto il mancato sostegno delle forze armate cui Bolsonaro si è frequentemente richiamato, e che sono state ampiamente sostenute dall’ex presidente. Infine lo stesso Bolsonaro è scappato negli States.
A Brasilia si è verificato uno scontro tra poteri ampiamente prevedibile da quando i bolsonaristi hanno contestato la correttezza dei risultati elettorali, facendo manifestazioni e blocchi stradali.
Brasilia, la capitale, una gigantesca cattedrale nel deserto, una città costruita solo per diventare capitale, è isolata dal resto del paese. Le manifestazioni di opposizione nella centrale piazza dei Tre Poteri vengono spesso spazzate via dall’antisommossa, che impedisce l’avvicinamento al parlamento e agli altri palazzi istituzionali. Un accampamento fatto da manifestanti provenienti da tutto il paese da oltre due mesi è stato tollerato e si è lentamente assottigliato. In occasione dell’assalto al parlamento è stato rimpolpato da soli 5000 manifestanti, che la polizia dello stato di Brasilia ha lasciato agire indisturbati. Lo sgombero del parlamento è stato deciso da Lula che ha fatto intervenire la polizia federale. Evidente il contrasto tra i due poteri e le loro forze di polizia.
Secondo i compagni brasiliani che abbiamo contattato la tattica dei Bolsonaristi era far leva su una legge che prevede l’intervento dell’esercito per ripristinare l’ordine quando la situazione diviene ingovernabile. Una tattica che non ha funzionato. Probabile che oggi Lula, che si è ridisegnato un ruolo di mediazione più di centro, rappresenti per la media borghesia un elemento di equilibrio.
I blocchi stradali che hanno segnato la pratica delle opposizioni dal giorno successivo alla vittoria elettorale di Lula dimostrano come questa pratica, utilizzata ormai ai quattro angoli del pianeta sia l’unica capace di impensierire i governi, perché colpisce l’unico anello debole dell’attuale assetto capitalista: la circolazione delle merci.
Ma, ancora una volta il Brasile non è la Francia, e lì i più poveri campano di attività informali, che si annidano a lato dei processi di produzione e circolazione delle merci. Quindi questa pratica che tra i gilet jaunes francesi aveva attraversato gli schieramenti, in questo caso è adottata dalla destra.
Le interviste ai manifestanti diffuse dai canali TV e dai social mostrano una componente di media età e bianca. In questo le analogie con Capitol Hill sono certamente maggiori.
L’altro dato che emerge e ci interroga è la questione che il complottismo è ormai passato da sordo rumore di fondo della politica da bar sport per assurgere ad un ruolo politico e culturale dotato di strategie precise, facilmente riconoscibili. Se vent’anni fa l’opposizione alla globalizzazione, che vide il Brasile tra i protagonisti della sua versione più moderata, si poggiava sulla convinzione che la lotta fosse tra sei miliardi di abitanti del pianeta e pochi potenti, oggi le convulsioni della classe media espropriata di parte de propri privilegi si assestano sulla convinzione che la maggioranza non governa solo a causa di un oscuro complotto di potenti. In questo modo il capitalismo più feroce resta sullo sfondo ed i cattivi sono i poveri. Un’inquietante giravolta che, se attinge anche al patrimonio delle destre storiche, assume oggi caratteristiche in parte nuove e difficili da contrastare.
Secondo i compagni brasiliani la situazione, dopo quattro anni di crescente violenza poliziesca nei confronti delle persone razzializzate, povere, sem terra, lgbtq+, indigene la situazione è esplosiva.
Per capirne di più ne abbiamo parlato con Simone Ruini, che conosce bene la realtà brasiliana.

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