Tunisia, rivolta e arresti a Gabès contro la “fabbrica killer”, le proteste arrivano fino alla capitale

Come scritto da Matteo Garavoglia in un recente articolo per il Manifesto, “Gli ultimi sette giorni hanno riacceso l’attenzione su uno dei veri buchi neri del sud est tunisino, il complesso industriale chimico di Gabes che dagli anni Settanta sta inquinando l’unica oasi del Mediterraneo, ormai perduta per sempre. Da tempo non si contano più i casi di cancro tra gli abitanti della città e la perdita progressiva di flora e fauna che ha portato uno dei bacini più pescosi del Paese a svuotarsi inesorabilmente”.
La comunità di Gabes richiede l’immediata chiusura dello stabilimento. Questa richiesta si fa sentire in modo deciso dopo che, a metà ottobre, diversi studenti minorenni hanno riportato difficoltà respiratorie in una scuola vicina al complesso industriale, verosimilmente a causa di una fuga di gas. Martedì scorso, l‘Unione Generale Tunisina del Lavoro, il principale sindacato della Tunisia, ha proclamato uno sciopero generale. La partecipazione è stata notevole: almeno 40mila persone hanno marciato per le strade della città, mentre i negozi hanno chiuso in segno di solidarietà verso uno dei pochi movimenti di protesta popolare che continuano a manifestarsi nel paese dopo la repressione autoritaria attuata dal presidente Kais Saied.
Abbiamo chiesto a Matteo Garavoglia di raccontarci della fabbrica di fosfati del Groupe Chimique Tunisien (Gct), dei danni che produce agli ecosistemi e alla salute del territorio, delle proteste per chiudere l’impianto e della situazione generale repressiva in Tunisia.

