I “WAR BOND” E IL SOSTEGNO FINANZIARIO ALLA GUERRA ISRAELIANA .
Scritto dainfosu 30 Giugno 2025
L’economia israeliana oggi si regge solo grazie ai ‘war bond’, ossia alla vendita dei titoli di Stato ai fondi d’investimento o alle banche – tra cui anche tante italiane – che consentono ad Israele di finanziare il suo apparato militare le cui spese di mantenimento pesano per un 10% del PIL con un aumento esponenziale del debito. Il costo operativo di questa guerra è elevatissimo. Secondo stime del Ministero delle Finanze israeliano, le sole operazioni a Gaza hanno comportato spese straordinarie per oltre 25 miliardi di dollari in un solo anno.
Israele ha costruito negli ultimi due decenni un’infrastruttura finanziaria transnazionale che consente di trasformare il conflitto in un ciclo economico funzionale: la guerra genera debito pubblico, il debito pubblico viene confezionato come prodotto finanziario e rivenduto a investitori globali, generando nuova liquidità. Questo meccanismo, trova in Israele una forma particolarmente raffinata e integrata.
Le grandi banche d’affari – da Goldman Sachs a Deutsche Bank – non agiscono solo come consulenti o investitori passivi, ma svolgono il ruolo di underwriter, cioè di garanti delle emissioni obbligazionarie con cui lo Stato israeliano finanzia la propria spesa militare. I titoli di debito collocati tra la fine del 2023 e l’inizio del 2025 – quasi 20 miliardi di dollari – sono formalmente emissioni sovrane standard, ma nella sostanza si tratta di “war bonds” non dichiarati, collocati con rapidità e ampia domanda proprio durante le fasi più acute del conflitto. In questo contesto, la guerra non è più solo un costo da sostenere o una minaccia da contenere. È diventata, per certi attori, un’opportunità di investimento. Titoli obbligazionari ad alto rendimento, industrie militari quotate in Borsa con portafogli ordini in crescita, tecnologie duali brevettate grazie a fondi pubblici esteri: tutto questo configura la guerra come una filiera produttiva finanziarizzata.
Ne parliamo con l’economista Alessandro Volpi .