","Srebrenica: 24 anni dopo","post",1562845597,[63,64,65,66,67,68,69,70,71,72,73,74,75,76],"http://radioblackout.org/tag/balcani/","http://radioblackout.org/tag/bosnia/","http://radioblackout.org/tag/east/","http://radioblackout.org/tag/europa/","http://radioblackout.org/tag/genocidio/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/info/","http://radioblackout.org/tag/journal/","http://radioblackout.org/tag/migranti/","http://radioblackout.org/tag/onu/","http://radioblackout.org/tag/profughi/","http://radioblackout.org/tag/serbia/","http://radioblackout.org/tag/srebrenica/","http://radioblackout.org/tag/torino/",[78,79,80,81,82,27,52,83,84,85,86,25,87,88],"Balcani","Bosnia","east","europa","genocidio","journal","migranti","ONU","profughi","srebrenica","torino",{"post_content":90,"tags":95},{"matched_tokens":91,"snippet":93,"value":94},[92],"Journal","Marco Siragusa, redattore di East \u003Cmark>Journal\u003C/mark>, per parlare di cosa accadde","All'interno della mattinata informativa di Radio Blackout raggiungiamo al telefono Marco Siragusa, redattore di East \u003Cmark>Journal\u003C/mark>, per parlare di cosa accadde a Srebrenica (Bosnia Erzegovina) l'11 luglio 1995, delle responsabilità internazionali di ONU e Europa, della situazione economico sociale bosniaca oggi e di \"affinità-divergenze\" tra l'Europa di allora e l'Europa di oggi nella gestione della \"crisi\" seguita alla dissoluzione dell'esperimento socialista nei Balcani.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/07/Srebrenica.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",[96,98,100,102,104,106,108,110,113,115,117,119,121,123],{"matched_tokens":97,"snippet":78},[],{"matched_tokens":99,"snippet":79},[],{"matched_tokens":101,"snippet":80},[],{"matched_tokens":103,"snippet":81},[],{"matched_tokens":105,"snippet":82},[],{"matched_tokens":107,"snippet":27},[],{"matched_tokens":109,"snippet":52},[],{"matched_tokens":111,"snippet":112},[83],"\u003Cmark>journal\u003C/mark>",{"matched_tokens":114,"snippet":84},[],{"matched_tokens":116,"snippet":85},[],{"matched_tokens":118,"snippet":86},[],{"matched_tokens":120,"snippet":25},[],{"matched_tokens":122,"snippet":87},[],{"matched_tokens":124,"snippet":88},[],[126,132],{"field":37,"indices":127,"matched_tokens":129,"snippets":131},[128],7,[130],[83],[112],{"field":133,"matched_tokens":134,"snippet":93,"value":94},"post_content",[92],578730123365712000,{"best_field_score":137,"best_field_weight":138,"fields_matched":22,"num_tokens_dropped":49,"score":139,"tokens_matched":35,"typo_prefix_score":49},"1108091339008",13,"578730123365711978",{"document":141,"highlight":162,"highlights":167,"text_match":170,"text_match_info":171},{"cat_link":142,"category":143,"comment_count":49,"id":144,"is_sticky":49,"permalink":145,"post_author":52,"post_content":146,"post_date":147,"post_excerpt":148,"post_id":144,"post_modified":149,"post_thumbnail":150,"post_thumbnail_html":151,"post_title":152,"post_type":60,"sort_by_date":153,"tag_links":154,"tags":158},[46],[48],"86510","http://radioblackout.org/2024/01/la-finanza-che-sostiene-leconomia-coloniale-israeliana/","Le istituzioni finanziarie europee, siano esse banche, compagnie assicurative e fondi pensione, svolgono un ruolo fondamentale per garantire il funzionamento, la sostenibilità e l’espansione delle colonie israeliane nei Territori palestinesi occupati. E lo fanno erogando prestiti e finanziamenti alle aziende coinvolte più o meno direttamente nell’occupazione (da Airbnb a Caterpillar, dall’impresa di costruzioni israeliana Ashtrom a quella di telecomunicazioni Altice) oppure acquisendo azioni e obbligazioni di queste società.\r\n\r\nSecondo le stime contenute nell’edizione 2023 del rapporto “Don’t buy into occupation” pubblicato lo scorso dicembre, tra gennaio 2020 e agosto 2023 sono state 776 le istituzioni finanziarie europee che hanno intrattenuto rapporti finanziari con 51 imprese attivamente coinvolte negli insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania. Durante il periodo analizzato, sono stati erogati 164,2 miliardi di dollari sotto forma di prestiti e di sottoscrizioni. 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Il nome del sito deriva dal prefisso telefonico del paese che può essere utilizzato per chiamare in tutto Israele-Palestina.\r\nQui l'articolo originale.\r\n\r\nDi Nancy Murray e Amahl Bishara, 16 gennaio 2024\r\n\r\nA novembre, a solo un mese dall’inizio dell’assalto israeliano a Gaza che ha ormai superato i 100 giorni, Pedro Arrojo-Agudo, un relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, ha avvertito che Israele “deve smettere di usare l’acqua come arma di guerra”. “Ogni ora che passa mentre Israele impedisce la fornitura di acqua potabile sicura nella Striscia di Gaza, in aperta violazione del diritto internazionale, mette gli abitanti di Gaza a rischio di morire di sete e di malattie legate alla mancanza di acqua potabile”, ha dichiarato. Il bilancio delle vittime derivante dalla mancanza d’acqua e il suo impatto sulla salute pubblica, potrebbe superare quello dello stesso bombardamento israeliano.\r\n\r\nNegare l’acqua a Gaza è stata una tattica chiave della guerra fin dall’inizio, con Israele che ha chiuso i tubi che rifornivano l’enclave il 7 ottobre. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato che Israele stava “imponendo un assedio completo a Gaza. Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo gli animali umani e ci comportiamo di conseguenza”. L’uso dell’acqua come arma è riconosciuto nell’accusa del Sud Africa – ascoltata la settimana scorsa dalla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) – secondo cui l’assalto di Israele a Gaza equivale al crimine di genocidio. Questa accusa è stata avanzata anche da altri studiosi ed esponenti dei diritti umani, tra cui Craig Mokhiber, l'ex direttore dell'ufficio di New York dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, nella sua lettera di dimissioni in ottobre. La privazione dell’acqua e la distruzione delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie fanno da tempo parte dello sforzo israeliano, sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania, “per rendere il processo quotidiano di vita, e di vita dignitosa, più difficile per la popolazione civile”, come ha affermato una missione conoscitiva delle Nazioni Unite nel 2009. Le passate operazioni militari israeliane in entrambi questi territori occupati hanno portato anche alla distruzione delle risorse idriche. E per decenni, Israele ha utilizzato l’accaparramento dell’acqua per espropriare i palestinesi della loro terra , impedendo l’agricoltura palestinese in Cisgiordania e per i palestinesi all’interno di Israele. Ma l’utilizzo dell’acqua da parte di Israele nel quadro della sua attuale offensiva sulla Striscia di Gaza è su una scala completamente diversa, con la capacità di causare una crisi sanitaria pubblica senza precedenti e un danno ecologico irreversibile. La dipendenza quasi totale di Gaza da Israele per l’acqua e l’energia la rende particolarmente vulnerabile all’uso militare delle risorse di base.\r\n\r\nCirca il 30% dell’approvvigionamento idrico di Gaza viene generalmente acquistato da Israele, mentre il resto dipende dall’elettricità e dal carburante – di cui anche Israele controlla l’ingresso – per la depurazione. Dall’inizio della guerra, il rafforzamento dell’assedio e dei bombardamenti da parte di Israele hanno causato una massiccia carenza di approvvigionamento idrico. Il 14 ottobre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che l’interruzione dell’elettricità significava che non c’era energia sufficiente per far funzionare i pozzi d’acqua, gli impianti di desalinizzazione e depurazione e i servizi igienico-sanitari. Ha inoltre riferito che gli attacchi israeliani avevano danneggiato sei pozzi d’acqua, tre stazioni di pompaggio dell’acqua, un serbatoio d’acqua e un impianto di desalinizzazione che serve oltre 1,1 milioni di persone. L’UNICEF, che aveva aperto l’impianto di desalinizzazione nel 2017, ha dichiarato che le persone erano costrette a bere acqua salata proveniente dal mare, che era ulteriormente contaminata da grandi quantità di acque reflue non trattate scaricate in mare ogni giorno. Entro due settimane dall’inizio della guerra, l’OCHA(coordinamento per gli affari umanitari Onu) stimava il consumo di acqua pro capite a Gaza – per bere, cucinare e per l’igiene – a soli 3 litri al giorno, mentre coloro che si stipavano nei rifugi delle Nazioni Unite avevano accesso a solo 1 litro al giorno; Gli standard internazionali raccomandano almeno 15 litri a persona ogni giorno. E con l’acqua in bottiglia non disponibile e i grandi impianti di desalinizzazione non funzionanti, l’OCHA ha scritto: “Le persone sono ricorse al consumo di acqua estratta dai pozzi agricoli, aumentando l’esposizione a pesticidi e altri prodotti chimici, esponendo la popolazione al rischio di morte o di epidemia di malattie infettive”. Anche durante la “pausa umanitaria” di sette giorni nelle ostilità alla fine di novembre, quando 200 camion di aiuti al giorno – meno della metà del numero che entravano ogni giorno prima della guerra – venivano ammessi a Gaza, le bottiglie di acqua pulita erano ancora scarseggiavano. “Nonostante la pausa, non vi è stato quasi alcun miglioramento nell’accesso dei residenti nel nord all’acqua per uso potabile e domestico, poiché la maggior parte dei principali impianti di produzione dell’acqua sono rimasti chiusi, a causa della mancanza di carburante e alcuni anche per danni. \", ha osservato l'OCHA. Alla fine di ottobre, un rapporto interno del Dipartimento di Stato americano esprimeva preoccupazione per il fatto che 52.000 donne incinte e oltre 30.000 bambini di età inferiore ai sei mesi fossero costretti a bere una miscela potenzialmente letale di acqua inquinata da liquami e sale marino.\r\n\r\nAlla fine di dicembre, come riportato dall’OMS, oltre 1 milione di sfollati palestinesi rifugiati nella città meridionale di Rafah avevano accesso, in media, a un bagno ogni 486 persone, mentre in tutta Gaza una doccia serviva in media 4.500 persone. Le acque reflue scorrono per le strade e contaminano le tende frettolosamente montate in cui vivono centinaia di migliaia di persone in tutta la parte meridionale e centrale di Gaza. Le donne che hanno le mestruazioni affrontano gravi difficoltà, con prodotti mestruali, servizi igienici e acqua che scarseggiano.\r\n\r\nUn’altra tattica inquietante adottata da Israele nelle ultime settimane è quella di pompare acqua di mare nei tunnel di Gaza. L’obiettivo apparente è quello di distruggere i tunnel e stanare i combattenti di Hamas, ma il Wall Street Journal ha riferito che l’azione potrebbe “anche minacciare l’approvvigionamento idrico di Gaza”. Anche se la portata dell’operazione di pompaggio rimane poco chiara, la dichiarazione del Sud Africa alla Corte Internazionale di Giustizia esprime “estrema preoccupazione” per questo particolare uso dell’acqua come arma offensiva, affermando: “Gli esperti ambientali hanno avvertito che la strategia “rischia di causare una catastrofe ecologica” che lascerebbe Gaza senza acqua potabile, devasterebbe quella poca agricoltura possibile e “rovinerebbe le condizioni di vita di tutti a Gaza”. La dichiarazione sudafricana rileva inoltre che il Relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’acqua avrebbe paragonato questo piano israeliano alla mitica “salatura” romana dei campi di Cartagine, che mirava a impedire la crescita dei raccolti e a rendere il territorio inabitabile. L’accesso all’acqua pulita è fondamentale per scongiurare carestie e malattie, e con la massiccia distruzione delle infrastrutture idriche a Gaza – comprese le linee di approvvigionamento potabile, le stazioni di pompaggio e i pozzi – una catastrofe umanitaria in piena regola è in corso . Questa situazione è descritta nelle parole della petizione sudafricana all’ICJ (INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE ): “Queste condizioni – deliberatamente imposte da Israele – sono calcolate per provocare la distruzione del gruppo palestinese a Gaza”. In effetti, gli esperti di sanità pubblica avvertono che mezzo milione di persone – un quarto della popolazione di Gaza – potrebbe morire di malattie entro un anno. \r\n\r\n \r\n\r\n ","22 Gennaio 2024","Tra gennaio 2020 e agosto 2023 banche, fondi pensione e assicurazioni hanno intrattenuto rapporti con oltre 50 imprese coinvolte negli insediamenti illegali in Cisgiordania.","2024-01-22 17:07:03","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/01/INFO-220224-ISRAELE-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"172\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/01/INFO-220224-ISRAELE-300x172.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/01/INFO-220224-ISRAELE-300x172.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/01/INFO-220224-ISRAELE.jpg 750w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","LA FINANZA CHE SOSTIENE L'ECONOMIA COLONIALE ISRAELIANA",1705934317,[155,156,157],"http://radioblackout.org/tag/banche/","http://radioblackout.org/tag/boicottaggio/","http://radioblackout.org/tag/territori-occupati/",[159,160,161],"banche","boicottaggio","Territori occupati",{"post_content":163},{"matched_tokens":164,"snippet":165,"value":166},[92],"Hamas, ma il Wall Street \u003Cmark>Journal\u003C/mark> ha riferito che l’azione potrebbe","Le istituzioni finanziarie europee, siano esse banche, compagnie assicurative e fondi pensione, svolgono un ruolo fondamentale per garantire il funzionamento, la sostenibilità e l’espansione delle colonie israeliane nei Territori palestinesi occupati. 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Cosa è cambiato negli ultimi 20 anni?\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri di CanaPisa, autore di un articolo uscito sul settimanale Umanità Nova\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/2021-02-09-iron-war-on-drugs.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\nLeggi l’articolo:\r\n\r\n“Prima dell’arrivo del Covid 19 sul nostro pianeta, la cosiddetta “epidemia degli oppioidi” negli Stati Uniti era considerata una delle più gravi crisi sanitarie della nostra epoca. Nel 2017 un report del National Safety Council relativo ai rischi di morte prevenibili per la popolazione statunitense aveva messo il rischio di morire per overdose accidentale da oppioidi al quinto posto nella classifica delle morti prevenibili (guidata da malattie cardiovascolari, tumori e malattie respiratorie croniche), superando per la prima volta quello di rimanere vittima di un incidente automobilistico: 1 possibilità su 96 contro 1 su 103. La crisi era dovuta, secondo una nota diffusa dallo stesso Nsc, soprattutto all’uso illegale del fentanyl, un analgesico molto potente, di cui anche solo 20 milligrammi rappresentano una dose potenzialmente letale. Il fentanyl non è, però, una droga illegale ma un farmaco da prescrizione. Sono farmaci da prescrizione anche le altre sostanze (morfina, codeina, ossicodone, metadone e tramadolo) che, insieme al fentanyl, provocano la quasi totalità delle morti per overdose negli USA che in totale dal 1999 al 2017 sono state quasi 400 mila, mentre gli ultimi dati dei “Centers for Disease Control and Prevention” (CDC) riferiscono di 81mila vittime nei dodici mesi che vanno dal giugno 2019 al maggio 2020.\r\n\r\nI Cdc americani identificano l’inizio della “epidemia” nell’aumento della prescrizione degli oppioidi negli anni Novanta. Allora, rassicurati dalla aziende farmaceutiche che escludevano rischi di dipendenza dagli oppioidi, i medici cominciarono a prescriverne in grandi quantità. Prima nella farmacologia gli oppioidi erano utilizzati per la gestione del dolore severo – per esempio in seguito ad interventi chirurgici o in caso di tumori o altri gravi patologie. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta vennero utilizzati anche per patologie meno gravi, inizialmente per il trattamento di dolori come quelli associati all’osteoartrite, poi per tutti i dolori alla schiena, ai muscoli ed alle ossa, poi per i dolori in genere (compresi mal di testa e mal di denti). In pochi anni gli oppioidi si diffusero come alternativa agli antidolorifici più diffusi (tipo aspirina ed aulin e quelli che continuiamo ad usare qui in Europa), rispetto ai quali erano più veloci a fermare il dolore, avevano meno effetti collaterali e davano anche una certa euforia.\r\n\r\nIn un paese in cui mettersi in malattia significa non prendere lo stipendio, per molti utilizzare oppioidi per ogni tipo di dolore diventò una pratica quotidiana. A differenza, però, dei loro concorrenti gli oppioidi non hanno anche effetti antinfiammatori: le cause del dolore rimangono e per lenirlo bisogna continuare ad utilizzare i farmaci. Come sanno bene tutti gli eroinomani, però, l’uso degli oppioidi (di tutti, compresi quelli da prescrizione) può indurre la tolleranza ai medicinali ed aumentare la sensibilità al dolore, con l’effetto che per avere lo stesso sollievo dal dolore servono più quantità del farmaco. Tutto questo, unitamente al fatto che gli oppioidi non solo alleviano il dolore, ma inducono anche euforia, aumenta chiaramente il rischio di dipendenza, con usi prolungati. Ad alti dosaggi gli oppioidi causano problemi respiratori e possono portare a morte e il rischio aumenta se nel mix finiscono anche alcolici e sedativi.\r\n\r\nNegli Stati Uniti, però, nella cultura dominante la performance lavorativa e non solo è considerata il primo sacro dovere di ogni essere umano, al punto che è considerato normale che in molti posti di lavoro tra i fattori che favoriscono la carriera ci sia il fatto di andarsi a fare una corsetta prima di arrivare puntualissimi in ufficio, tenendo fede a “work hard – play hard” (cioè “lavora duro – fai sport duro”), il motto stakanovista di Wall Street che da noi si vede sulle magliette dei runner più tristi. In pochi anni l’uso prolungato di oppioidi si è fatto sempre più frequente e diffuso, al punto che già all’inizio dei Duemila è arrivata quella che i Cdc hanno definito “la prima ondata di morti per overdose da oppioidi”, quasi interamente causata dall’utilizzo di farmaci legali.\r\n\r\nDi fronte a questa prima ondata di morti, il governo federale e i vari governi statali non hanno saputo far di meglio che aumentare i prezzi dei farmaci e varare misure per limitare la prescrizione di oppioidi da parte dei medici, con cose tipo il divieto di prescrivere oppioidi negli ospedali e nelle cliniche free-care (“gratuite”). Queste misure non hanno certo impedito a chi se lo poteva permettere di continuare ad utilizzare oppioidi con ricetta a pagamento ed hanno creato così un mercato parallelo illegale per chi come molti lavoratori manuali dei settori della logistica e della ristorazione non poteva permettersi di perdere lo stipendio mettendosi in malattia e neanche però di aggiungere il prezzo della ricetta a quello del farmaco. È così che, secondo i Cdc, l’eroina prima e la diffusione di oppioidi sintetici poi, in particolare il fentanyl illegale, avrebbero invece caratterizzato rispettivamente la “seconda” e la “terza” ondata dell’epidemia, che continua ad infuriare negli USA.\r\nDai primi anni Duemila, negli Stati Uniti tutti gli enti “ufficiali” (da quelli sanitari a quelli governativi) non hanno mancato di lanciare allarmi sulla “epidemia di oppioidi”, “uno dei più gravi problemi di salute pubblica dei nostri tempi” come l’ex presidente Trump l’ha definita, promettendo a più riprese crociate che non si sono mai viste. L’epidemia, quindi, continua ad infuriare, da un lato perché non è semplice bloccare la produzione di farmaci legali e nemmeno controllarla e dall’altro, è soprattutto perché l’utilizzo di farmaci veloci ed efficaci per fermare il dolore è quel che serve in un mondo in cui dappertutto le condizioni di lavoro sono peggiorate per tutte e tutti (negli USA come in Europa) e sono aumentate la fatica, lo stress e, invece, non bisogna mai fermarsi in quella corsa dei topi, la “rat-race” in cui il neoliberismo ha trasformato la nostra vita.\r\n\r\nL’“epidemia da oppiodi” è chiaramente la più grande dimostrazione del fallimento della War On Drugs chiamata da Nixon e poi lanciata da Reagan. Da quarant’anni esatti, ormai, infuria negli Usa la Guerra Alla Droga (che Reagan evocò dal giorno del suo insediamento, nel gennaio 1981), milioni di persone sono state licenziate per essere state trovate positive ai test antidroga, la popolazione carceraria è quintuplicata (alla fine del 1979 c’erano nelle carceri USA meno di 400mila detenuti, alla fine degli anni Ottanta erano già più di due milioni), sono state lanciate vere e proprie campagne militari (come la famigerata CAMP, la Campaign Against Marijuana Plantantions che per le piantagioni di ganja illegale prevedeva il lancio dagli elicotteri del napalm che negli anni nel Nord della California ha provocato migliaia di nascite di bambini malformati). Nel frattempo, però, la più grande crisi sanitaria legata alle “droghe” è stata provocate da sostanze legali, diffuse da cause farmaceutiche che ad un certo punto avevano deciso che per aumentare i loro profitti nelle vendite e in borsa avrebbero puntato sulla diffusione degli oppioidi come antidolorifici “comuni” ed hanno poi sguinzagliato migliaia di informatori negli studi medici di tutto il paese a offrire depliant con articoli scientifici selezionati, corsi d’aggiornamento gratuiti etc.\r\n\r\nNegli ultimi dieci anni negli Stati Uniti la War On Drugs sta finendo: attualmente sono 33 gli stati che consentono almeno l’utilizzo e la vendita di cannabis medica e 15 (Arizona, Montana, Mississippi, New Jersey, South Dakota ed Oregon si sono aggiunte alla lista durante l’ultimo Election Day del 4 novembre) che consentono l’uso e la vendita di quella “ricreativa”. Secondo la Gallup, l’istituto di ricerca statistica che da anni registra un consenso crescente nell’opinione pubblica statunitense alla legalizzazione della marijuana (arrivato nel 2020 al record di 65% di favorevoli), la diffusione dell’epidemia d’oppioidi è stato uno dei fattori che hanno fatto crescere il sostegno alle tesi antiproibizioniste.\r\n\r\nIntanto, perché è diffusa la convinzione che la cannabis possa essere un’efficace sostituto per gli oppiodi, convinzione che, peraltro, sembrerebbe confermata da uno studio pubblicato il 27 gennaio sul British Medical Journal. Secondo la ricerca, l”accesso ai negozi legali di cannabis è associato a una riduzione delle morti legate agli oppioidi negli Stati Uniti, in particolare quelle legate agli oppioidi sintetici come il fentanyl. Confrontando i dati provenienti da 812 contee sulla presenza di punti vendita di marijuana legale e l’evoluzione dei tassi di overdose a casa di oppioidi, i ricercatori hanno verificato che le contee con un maggior numero di dispensari di cannabis attivi sono associate a tassi ridotti di mortalità legata ad overdose: la presenza di due dispensari, a scopi medici o ricreativi, è accompagnata dalla diminuzione del tasso di vittime degli oppiacei del 17%, mentre nelle contee dove sono presenti tre dispensari il tasso diminuisce di un ulteriore 9%.\r\n\r\nCertamente, però, anche perché proprio l’epidemia d’oppioidi è la dimostrazione del fallimento della War On Drugs che lo storico Howard Zinn ha definito a suo tempo “la causa delle più gravi, le più diffuse e le più sistematiche violazioni dei diritti umani della storia degli Stati Uniti”. Non per niente, la fine della War On Drugs è stata una delle richieste più condivise nei movimenti contro la polizia e contro Trump che dalla fine di maggio, dopo la morte di George Flloyd, hanno occupato (e continuano ad occupare anche dopo l’elezione di Biden perché anche chi l’ha votato contro Trump sa che non ci sono governanti amici, ma al massimo nemici meno nemici) le strade e le piazze della citta USA.\r\n\r\nLa War On Drugs non sta finendo solo negli USA. L’assemblea delle 53 nazioni rappresentate nella mattinata del 2 dicembre alla riconvocazione della 63ma CND “Conferenza Droghe Narcotiche delle Nazioni Unite” a Vienna ha votato la riclassificazione della cannabis come richiesto da un comitato di esperti nominato dall’Organizzazione mondiale della Sanità e la cannabis è stata tolta dalla Tabella IV – quella delle sostanze “a rischio particolarmente forte di abuso e senza alcuna utilità terapeutica” – e messa nella Tabella I, quella delle “sostanze pericolose” che comprende i farmaci legali ottenuti senza prescrizione. Questo di fatto rende non più valida la Convenzione di Vienna che dagli anni Sessanta ha messo fuorilegge la cannabis in tutto il mondo (anche se negli ultimi anni è stata legalizzata in Canada e in Uruguay, è in libera vendita da mezzo secolo nei coffee shop olandesi e da un po’ di tempo anche nei cannabis club spagnoli).\r\n\r\nIn Messico, in Svizzera, in Lussemburgo e in Macedonia del Nord sono stati già approvati dei progetti di legalizzazione di cui sono ancora stati definiti i tempi ma che si concretizzeranno nei prossimi anni.\r\n\r\nIn Italia, invece, siamo ancora ai tempi in cui basta un docufilm su Netflix su Muccioli “San Patrignano – luci e ombre”, che pur mostrando più luci che ombre non può tacere sull’omicidio di Roberto Maranzano, i suicidi nascosti le centinaia di denunce di violenze etc. e la reazione non è chiedersi come sia possibile che un tale lager degli orrori non sia ancora stato chiuso ma le urla e gli strepiti di fascisti e leghisti che, dello stupratore e torturatore Vincenzo Muccioli, ne fanno un emblema e che sono pronti a lanciarsi in una nuova e più feroce stagione della Guerra Alla Droga all’Italiana. La Lega ha dichiarato che i soldi del Recovery Fund dovrebbero essere impiegati “per la lotta alla droga (…) per costruire nuove carceri e per finanziare le comunità terapeutiche” e per quando tornerà al governo ha già presentato una proposta di legge a prima firma Molinari composta da due soli articoli che prevedono: 1. l’immediato arresto di chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito o consegna per qualunque scopo cannabis. Ad esempio, se un ragazzo dopo aver “fatto un tiro” passa alla propria ragazza o al proprio ragazzo una canna ci dovrebbe essere l’arresto immediato; 2. dopo l’arresto, l’incarcerazione.\r\n\r\nSecondo la proposta della Lega la pena dovrebbe andare dai 3 ai 6 anni di carcere con una sanzione dai 5mila ai 20mila euro e questo in modo tassativo perché la proposta chiede di eliminare le pene alternative al carcere, come i lavori di pubblica utilità. Se invece la persona coltiva o detiene cannabis ed il giudice non riscontra la “lieve entità”, la pena dovrebbe salire dai 6 ai 20 anni di carcere e dai 26mila ai 260mila euro (tanto per intenderci, per l’omicidio, così come da articolo 575 del codice penale, è prevista una pena dai 21 anni di carcere). Nel novero della cannabis, peraltro, rientra secondo la Lega anche la cannabis light (quella con basso contenuto di Thc che secondo un recente pronunciamento della Commissione Europea dovrebbe essere commercializzabile in tutta la UE), che viene venduta in centinaia di hemp shops di tutta Italia e che è proprio la marijuana che “non fa niente – speriamo che non si annoi” (come diceva una vignetta di Matteo Guarrnaccia ripresa anche da Gaber), visto che ha solo proprietà rilassanti senza avere effetti psichedelici.\r\n\r\nAd accompagnare il ritorno della crociata proibizionista anche un articolo sul settimanale berlusconiano Panorama che ha pubblicato un editoriale del direttore dal titolo: “Perché il consumo di droga va punito” (con a fianco, peraltro, una pubblicità, a tutta pagina, di una marca di grappa “da condividere e gustare in ogni occasione”), come se non fosse già punito abbastanza in quest’Italia più di un milione e 200mila persone sono state segnalate e sanzionate solo in quanto consumatori di sostanze proibite. Da parte loro, Pd e M5S che sono al governo (e probabilmente ci resteranno) non riescono neanche a trovare un cavillo per regolamentare in qualche modo la cannabis light e continuano solo a proseguire la Guerra alla Droga all’italiana. Senza farsi mancare neanche di fare un accordo antidroga con l’Iran (dove secondo Iran Human Rights, il governo nel 2019 ha giustiziato almeno 30 persone accusate di reati di droga), come rivelato dal Tehran Times che ha riferito che: “Dopo un incontro con l’ufficiale di collegamento della polizia antidroga italiana Salvatore Labarbera, il capo della polizia antidroga iraniana Majid Karimi ha annunciato che il livello di cooperazione tra i due Paesi sarà rafforzato e incrementato per la necessità di combattere gli stupefacenti anche a livello internazionale”, anche se fornire assistenza diretta contro il narcotraffico alle operazioni antidroga iraniane, comporterà inevitabilmente condanne a morte per presunti autori di reati di droga (e proprio per questo motivo hanno rifiutato di fornire assistenza alle operazioni antidroga iraniane Germania, Austria, Danimarca, Irlanda e Norvegia).\r\n\r\nIn questo contesto si comprende il silenzio su uno degli episodi più gravi avvenuti negli ultimi anni in Italia, la morte di 13 detenuti dopo le rivolte in carcere nel marzo dell’anno scorso. Anche se non si sa ancora di cosa sono morti (visto che scandalosamente non sono stati ancora rivelati i risultati delle autopsie mentre iniziano ad uscire testimonianze sull’ultraviolenza delle forze di polizie intervenute), erano tutti dentro “per droga” e sicuramente sono vittime di questa Guerra Alla Droga che è prima di tutto una guerra contro le persone che provoca soltanto sofferenza e dolore.”","9 Febbraio 2021","2021-02-09 17:26:10","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/war-on-drugs-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/war-on-drugs-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/war-on-drugs-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/war-on-drugs-1024x575.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/war-on-drugs-768x431.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/war-on-drugs.jpg 1296w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La war on drugs sta finendo. 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Cosa è cambiato negli ultimi 20 anni?\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri di CanaPisa, autore di un articolo uscito sul settimanale Umanità Nova\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/2021-02-09-iron-war-on-drugs.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\nLeggi l’articolo:\r\n\r\n“Prima dell’arrivo del Covid 19 sul nostro pianeta, la cosiddetta “epidemia degli oppioidi” negli Stati Uniti era considerata una delle più gravi crisi sanitarie della nostra epoca. Nel 2017 un report del National Safety Council relativo ai rischi di morte prevenibili per la popolazione statunitense aveva messo il rischio di morire per overdose accidentale da oppioidi al quinto posto nella classifica delle morti prevenibili (guidata da malattie cardiovascolari, tumori e malattie respiratorie croniche), superando per la prima volta quello di rimanere vittima di un incidente automobilistico: 1 possibilità su 96 contro 1 su 103. La crisi era dovuta, secondo una nota diffusa dallo stesso Nsc, soprattutto all’uso illegale del fentanyl, un analgesico molto potente, di cui anche solo 20 milligrammi rappresentano una dose potenzialmente letale. Il fentanyl non è, però, una droga illegale ma un farmaco da prescrizione. Sono farmaci da prescrizione anche le altre sostanze (morfina, codeina, ossicodone, metadone e tramadolo) che, insieme al fentanyl, provocano la quasi totalità delle morti per overdose negli USA che in totale dal 1999 al 2017 sono state quasi 400 mila, mentre gli ultimi dati dei “Centers for Disease Control and Prevention” (CDC) riferiscono di 81mila vittime nei dodici mesi che vanno dal giugno 2019 al maggio 2020.\r\n\r\nI Cdc americani identificano l’inizio della “epidemia” nell’aumento della prescrizione degli oppioidi negli anni Novanta. Allora, rassicurati dalla aziende farmaceutiche che escludevano rischi di dipendenza dagli oppioidi, i medici cominciarono a prescriverne in grandi quantità. Prima nella farmacologia gli oppioidi erano utilizzati per la gestione del dolore severo – per esempio in seguito ad interventi chirurgici o in caso di tumori o altri gravi patologie. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta vennero utilizzati anche per patologie meno gravi, inizialmente per il trattamento di dolori come quelli associati all’osteoartrite, poi per tutti i dolori alla schiena, ai muscoli ed alle ossa, poi per i dolori in genere (compresi mal di testa e mal di denti). In pochi anni gli oppioidi si diffusero come alternativa agli antidolorifici più diffusi (tipo aspirina ed aulin e quelli che continuiamo ad usare qui in Europa), rispetto ai quali erano più veloci a fermare il dolore, avevano meno effetti collaterali e davano anche una certa euforia.\r\n\r\nIn un paese in cui mettersi in malattia significa non prendere lo stipendio, per molti utilizzare oppioidi per ogni tipo di dolore diventò una pratica quotidiana. A differenza, però, dei loro concorrenti gli oppioidi non hanno anche effetti antinfiammatori: le cause del dolore rimangono e per lenirlo bisogna continuare ad utilizzare i farmaci. Come sanno bene tutti gli eroinomani, però, l’uso degli oppioidi (di tutti, compresi quelli da prescrizione) può indurre la tolleranza ai medicinali ed aumentare la sensibilità al dolore, con l’effetto che per avere lo stesso sollievo dal dolore servono più quantità del farmaco. Tutto questo, unitamente al fatto che gli oppioidi non solo alleviano il dolore, ma inducono anche euforia, aumenta chiaramente il rischio di dipendenza, con usi prolungati. Ad alti dosaggi gli oppioidi causano problemi respiratori e possono portare a morte e il rischio aumenta se nel mix finiscono anche alcolici e sedativi.\r\n\r\nNegli Stati Uniti, però, nella cultura dominante la performance lavorativa e non solo è considerata il primo sacro dovere di ogni essere umano, al punto che è considerato normale che in molti posti di lavoro tra i fattori che favoriscono la carriera ci sia il fatto di andarsi a fare una corsetta prima di arrivare puntualissimi in ufficio, tenendo fede a “work hard – play hard” (cioè “lavora duro – fai sport duro”), il motto stakanovista di Wall Street che da noi si vede sulle magliette dei runner più tristi. In pochi anni l’uso prolungato di oppioidi si è fatto sempre più frequente e diffuso, al punto che già all’inizio dei Duemila è arrivata quella che i Cdc hanno definito “la prima ondata di morti per overdose da oppioidi”, quasi interamente causata dall’utilizzo di farmaci legali.\r\n\r\nDi fronte a questa prima ondata di morti, il governo federale e i vari governi statali non hanno saputo far di meglio che aumentare i prezzi dei farmaci e varare misure per limitare la prescrizione di oppioidi da parte dei medici, con cose tipo il divieto di prescrivere oppioidi negli ospedali e nelle cliniche free-care (“gratuite”). Queste misure non hanno certo impedito a chi se lo poteva permettere di continuare ad utilizzare oppioidi con ricetta a pagamento ed hanno creato così un mercato parallelo illegale per chi come molti lavoratori manuali dei settori della logistica e della ristorazione non poteva permettersi di perdere lo stipendio mettendosi in malattia e neanche però di aggiungere il prezzo della ricetta a quello del farmaco. È così che, secondo i Cdc, l’eroina prima e la diffusione di oppioidi sintetici poi, in particolare il fentanyl illegale, avrebbero invece caratterizzato rispettivamente la “seconda” e la “terza” ondata dell’epidemia, che continua ad infuriare negli USA.\r\nDai primi anni Duemila, negli Stati Uniti tutti gli enti “ufficiali” (da quelli sanitari a quelli governativi) non hanno mancato di lanciare allarmi sulla “epidemia di oppioidi”, “uno dei più gravi problemi di salute pubblica dei nostri tempi” come l’ex presidente Trump l’ha definita, promettendo a più riprese crociate che non si sono mai viste. L’epidemia, quindi, continua ad infuriare, da un lato perché non è semplice bloccare la produzione di farmaci legali e nemmeno controllarla e dall’altro, è soprattutto perché l’utilizzo di farmaci veloci ed efficaci per fermare il dolore è quel che serve in un mondo in cui dappertutto le condizioni di lavoro sono peggiorate per tutte e tutti (negli USA come in Europa) e sono aumentate la fatica, lo stress e, invece, non bisogna mai fermarsi in quella corsa dei topi, la “rat-race” in cui il neoliberismo ha trasformato la nostra vita.\r\n\r\nL’“epidemia da oppiodi” è chiaramente la più grande dimostrazione del fallimento della War On Drugs chiamata da Nixon e poi lanciata da Reagan. Da quarant’anni esatti, ormai, infuria negli Usa la Guerra Alla Droga (che Reagan evocò dal giorno del suo insediamento, nel gennaio 1981), milioni di persone sono state licenziate per essere state trovate positive ai test antidroga, la popolazione carceraria è quintuplicata (alla fine del 1979 c’erano nelle carceri USA meno di 400mila detenuti, alla fine degli anni Ottanta erano già più di due milioni), sono state lanciate vere e proprie campagne militari (come la famigerata CAMP, la Campaign Against Marijuana Plantantions che per le piantagioni di ganja illegale prevedeva il lancio dagli elicotteri del napalm che negli anni nel Nord della California ha provocato migliaia di nascite di bambini malformati). Nel frattempo, però, la più grande crisi sanitaria legata alle “droghe” è stata provocate da sostanze legali, diffuse da cause farmaceutiche che ad un certo punto avevano deciso che per aumentare i loro profitti nelle vendite e in borsa avrebbero puntato sulla diffusione degli oppioidi come antidolorifici “comuni” ed hanno poi sguinzagliato migliaia di informatori negli studi medici di tutto il paese a offrire depliant con articoli scientifici selezionati, corsi d’aggiornamento gratuiti etc.\r\n\r\nNegli ultimi dieci anni negli Stati Uniti la War On Drugs sta finendo: attualmente sono 33 gli stati che consentono almeno l’utilizzo e la vendita di cannabis medica e 15 (Arizona, Montana, Mississippi, New Jersey, South Dakota ed Oregon si sono aggiunte alla lista durante l’ultimo Election Day del 4 novembre) che consentono l’uso e la vendita di quella “ricreativa”. Secondo la Gallup, l’istituto di ricerca statistica che da anni registra un consenso crescente nell’opinione pubblica statunitense alla legalizzazione della marijuana (arrivato nel 2020 al record di 65% di favorevoli), la diffusione dell’epidemia d’oppioidi è stato uno dei fattori che hanno fatto crescere il sostegno alle tesi antiproibizioniste.\r\n\r\nIntanto, perché è diffusa la convinzione che la cannabis possa essere un’efficace sostituto per gli oppiodi, convinzione che, peraltro, sembrerebbe confermata da uno studio pubblicato il 27 gennaio sul British Medical \u003Cmark>Journal\u003C/mark>. Secondo la ricerca, l”accesso ai negozi legali di cannabis è associato a una riduzione delle morti legate agli oppioidi negli Stati Uniti, in particolare quelle legate agli oppioidi sintetici come il fentanyl. Confrontando i dati provenienti da 812 contee sulla presenza di punti vendita di marijuana legale e l’evoluzione dei tassi di overdose a casa di oppioidi, i ricercatori hanno verificato che le contee con un maggior numero di dispensari di cannabis attivi sono associate a tassi ridotti di mortalità legata ad overdose: la presenza di due dispensari, a scopi medici o ricreativi, è accompagnata dalla diminuzione del tasso di vittime degli oppiacei del 17%, mentre nelle contee dove sono presenti tre dispensari il tasso diminuisce di un ulteriore 9%.\r\n\r\nCertamente, però, anche perché proprio l’epidemia d’oppioidi è la dimostrazione del fallimento della War On Drugs che lo storico Howard Zinn ha definito a suo tempo “la causa delle più gravi, le più diffuse e le più sistematiche violazioni dei diritti umani della storia degli Stati Uniti”. Non per niente, la fine della War On Drugs è stata una delle richieste più condivise nei movimenti contro la polizia e contro Trump che dalla fine di maggio, dopo la morte di George Flloyd, hanno occupato (e continuano ad occupare anche dopo l’elezione di Biden perché anche chi l’ha votato contro Trump sa che non ci sono governanti amici, ma al massimo nemici meno nemici) le strade e le piazze della citta USA.\r\n\r\nLa War On Drugs non sta finendo solo negli USA. L’assemblea delle 53 nazioni rappresentate nella mattinata del 2 dicembre alla riconvocazione della 63ma CND “Conferenza Droghe Narcotiche delle Nazioni Unite” a Vienna ha votato la riclassificazione della cannabis come richiesto da un comitato di esperti nominato dall’Organizzazione mondiale della Sanità e la cannabis è stata tolta dalla Tabella IV – quella delle sostanze “a rischio particolarmente forte di abuso e senza alcuna utilità terapeutica” – e messa nella Tabella I, quella delle “sostanze pericolose” che comprende i farmaci legali ottenuti senza prescrizione. Questo di fatto rende non più valida la Convenzione di Vienna che dagli anni Sessanta ha messo fuorilegge la cannabis in tutto il mondo (anche se negli ultimi anni è stata legalizzata in Canada e in Uruguay, è in libera vendita da mezzo secolo nei coffee shop olandesi e da un po’ di tempo anche nei cannabis club spagnoli).\r\n\r\nIn Messico, in Svizzera, in Lussemburgo e in Macedonia del Nord sono stati già approvati dei progetti di legalizzazione di cui sono ancora stati definiti i tempi ma che si concretizzeranno nei prossimi anni.\r\n\r\nIn Italia, invece, siamo ancora ai tempi in cui basta un docufilm su Netflix su Muccioli “San Patrignano – luci e ombre”, che pur mostrando più luci che ombre non può tacere sull’omicidio di Roberto Maranzano, i suicidi nascosti le centinaia di denunce di violenze etc. e la reazione non è chiedersi come sia possibile che un tale lager degli orrori non sia ancora stato chiuso ma le urla e gli strepiti di fascisti e leghisti che, dello stupratore e torturatore Vincenzo Muccioli, ne fanno un emblema e che sono pronti a lanciarsi in una nuova e più feroce stagione della Guerra Alla Droga all’Italiana. La Lega ha dichiarato che i soldi del Recovery Fund dovrebbero essere impiegati “per la lotta alla droga (…) per costruire nuove carceri e per finanziare le comunità terapeutiche” e per quando tornerà al governo ha già presentato una proposta di legge a prima firma Molinari composta da due soli articoli che prevedono: 1. l’immediato arresto di chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito o consegna per qualunque scopo cannabis. Ad esempio, se un ragazzo dopo aver “fatto un tiro” passa alla propria ragazza o al proprio ragazzo una canna ci dovrebbe essere l’arresto immediato; 2. dopo l’arresto, l’incarcerazione.\r\n\r\nSecondo la proposta della Lega la pena dovrebbe andare dai 3 ai 6 anni di carcere con una sanzione dai 5mila ai 20mila euro e questo in modo tassativo perché la proposta chiede di eliminare le pene alternative al carcere, come i lavori di pubblica utilità. Se invece la persona coltiva o detiene cannabis ed il giudice non riscontra la “lieve entità”, la pena dovrebbe salire dai 6 ai 20 anni di carcere e dai 26mila ai 260mila euro (tanto per intenderci, per l’omicidio, così come da articolo 575 del codice penale, è prevista una pena dai 21 anni di carcere). Nel novero della cannabis, peraltro, rientra secondo la Lega anche la cannabis light (quella con basso contenuto di Thc che secondo un recente pronunciamento della Commissione Europea dovrebbe essere commercializzabile in tutta la UE), che viene venduta in centinaia di hemp shops di tutta Italia e che è proprio la marijuana che “non fa niente – speriamo che non si annoi” (come diceva una vignetta di Matteo Guarrnaccia ripresa anche da Gaber), visto che ha solo proprietà rilassanti senza avere effetti psichedelici.\r\n\r\nAd accompagnare il ritorno della crociata proibizionista anche un articolo sul settimanale berlusconiano Panorama che ha pubblicato un editoriale del direttore dal titolo: “Perché il consumo di droga va punito” (con a fianco, peraltro, una pubblicità, a tutta pagina, di una marca di grappa “da condividere e gustare in ogni occasione”), come se non fosse già punito abbastanza in quest’Italia più di un milione e 200mila persone sono state segnalate e sanzionate solo in quanto consumatori di sostanze proibite. Da parte loro, Pd e M5S che sono al governo (e probabilmente ci resteranno) non riescono neanche a trovare un cavillo per regolamentare in qualche modo la cannabis light e continuano solo a proseguire la Guerra alla Droga all’italiana. Senza farsi mancare neanche di fare un accordo antidroga con l’Iran (dove secondo Iran Human Rights, il governo nel 2019 ha giustiziato almeno 30 persone accusate di reati di droga), come rivelato dal Tehran Times che ha riferito che: “Dopo un incontro con l’ufficiale di collegamento della polizia antidroga italiana Salvatore Labarbera, il capo della polizia antidroga iraniana Majid Karimi ha annunciato che il livello di cooperazione tra i due Paesi sarà rafforzato e incrementato per la necessità di combattere gli stupefacenti anche a livello internazionale”, anche se fornire assistenza diretta contro il narcotraffico alle operazioni antidroga iraniane, comporterà inevitabilmente condanne a morte per presunti autori di reati di droga (e proprio per questo motivo hanno rifiutato di fornire assistenza alle operazioni antidroga iraniane Germania, Austria, Danimarca, Irlanda e Norvegia).\r\n\r\nIn questo contesto si comprende il silenzio su uno degli episodi più gravi avvenuti negli ultimi anni in Italia, la morte di 13 detenuti dopo le rivolte in carcere nel marzo dell’anno scorso. Anche se non si sa ancora di cosa sono morti (visto che scandalosamente non sono stati ancora rivelati i risultati delle autopsie mentre iniziano ad uscire testimonianze sull’ultraviolenza delle forze di polizie intervenute), erano tutti dentro “per droga” e sicuramente sono vittime di questa Guerra Alla Droga che è prima di tutto una guerra contro le persone che provoca soltanto sofferenza e dolore.”",[210],{"field":133,"matched_tokens":211,"snippet":207,"value":208},[92],{"best_field_score":172,"best_field_weight":173,"fields_matched":35,"num_tokens_dropped":49,"score":174,"tokens_matched":35,"typo_prefix_score":49},{"document":214,"highlight":241,"highlights":246,"text_match":170,"text_match_info":249},{"cat_link":215,"category":217,"comment_count":49,"id":219,"is_sticky":49,"permalink":220,"post_author":52,"post_content":221,"post_date":222,"post_excerpt":55,"post_id":219,"post_modified":223,"post_thumbnail":224,"post_thumbnail_html":225,"post_title":226,"post_type":60,"sort_by_date":227,"tag_links":228,"tags":235},[216],"http://radioblackout.org/category/notizie/",[218],"Blackout Inside","58985","http://radioblackout.org/2020/04/bolsovirus-contro-tutti-e-il-capitalismo-imperialista-bellezza/","Morire di virus o morire di fame. In Brasile le classi sfruttate sono oggi strette tra queste due opzioni presentate dalle fazioni interne alla classe dominante. Sia Bolsonaro che Doria, Maia, Toffoli o Witzel concordano nello scaricare sui lavoratori i costi della crisi, nell'abbandonare i lavoratori informali, nel ridurre i salari dei lavoratori pubblici e nel contenere il tetto della spesa pubblica secondo la PEC 95.\r\nTuttavia la crisi ha fatto emergere una situazione di duplice potere tra governo federale e i governatori: Bolsonaro ha rinnegato il proprio ministro della salute, Doria si è posizionato contro il presidente, in sintesi l'ampio campo politico reazionario, strutturato attorno alla difesa della governabilità e all'approvazione della riforma pensionistica, è semplicemente esploso. Senza tralasciare che Bolsonaro da tempo porta avanti un progetto bonapartista, mentre nel frattempo circolano voci di un (ennesimo) golpe bianco avvenuto negli ultimi giorni all'interno dei palazzi.\r\n\r\nBolsonaro è un neofascista irresponsabile, ma c'è una logica dietro alle sue azioni. Bolsonaro segue Trump e il progetto imperialista americano: un recente editoriale sul Wall Street Journal aveva avvertito che la depressione economica sarebbe stata peggio della pandemia. Bolsonaro difende gli interessi della classe che lo appoggia: tra salvare vite umane, evitare una calamità negli ospedali e salvare gli affari, ha preso una decisione. In Brasile ci sono più di trenta milioni di persone con più di 60 anni e un sistema di salute pubblica assolutamente inadeguato a rispondere ai bisogni delle classi popolari. Se il tasso di mortalità è equivalente a ciò che è noto a livello internazionale, migliaia di vite saranno messe a repentaglio, forse peggio. Per Bolsonaro, però, il contagio di massa è il male minore, il presidente è il braccio di una frazione della borghesia brasiliana terrorizzata dall'inevitabile recessione.\r\n\r\nIn questa prima puntata sul Brasile ai tempi del Covid-19, abbiamo parlato degli interessi e movimenti interni alla classe dominante con Luciano, attivista di Sao Paulo:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/brasil.mp3\"][/audio]","4 Aprile 2020","2020-04-04 14:54:00","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/153989-sd-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/153989-sd-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/153989-sd-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/153989-sd.jpg 640w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Bolsovirus contro tutti? 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A seguito dell'arresto con false accuse di Ivan Golunov- giornalista d'inchiesta che indaga spesso, nei suoi reportage, la corruzione delle alte sfere del Cremlino- queste manifestazioni sono culminate in un grosso appuntamento di protesta ( 13 Giugno) ferocemente represso dalla polizia. La montatura del caso Golunov era stata così plateale, e la minaccia alla libertà di stampa russa così eclatante, da indignare perfino le testate giornalistiche filogovernative, generando una rete di solidarietà trasversale a sostegno del giornalista. D'altronde in un'intervista al Financial Times uscita una settimana dopo la diretta televisiva Putin ha esplicitato il suo pensiero, dicendo che il liberalismo democratico ha fatto il suo corso, sancendo così il nuovo corso di democrazie illiberali, democrature, sovranismi... tutti quei neologismi dietro i quali si intravedono i vari fascismi nelle singole declinazioni locali.\r\nA proposito di questa ed altre questioni è stato chiamato a rispondere il presidente Vladimir Putin, durante l'annuale appuntamento della cosiddetta \"linea diretta\", che vede il presidente discutere con più o meno chiunque voglia porgli delle domande.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Martina Napolitano dell'East Journal.","28 Giugno 2019","2019-06-28 13:27:05","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/Putinyoyoyo-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/Putinyoyoyo-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/Putinyoyoyo-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/Putinyoyoyo-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/Putinyoyoyo.jpg 880w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Putin in diretta",1561696197,[264],"http://radioblackout.org/tag/putin/",[266],"putin",{"post_content":268},{"matched_tokens":269,"snippet":270,"value":271},[92],"parlato con Martina Napolitano dell'East \u003Cmark>Journal\u003C/mark>.","Sogni e menzogne di una superpotenza più povera\r\n\r\nDa circa un anno in Russia il malcontento per le impopolari politiche di Putin ha cominciato a tradursi in eterogenei movimenti di protesta che coinvolgono classi del tessuto sociale russo generalmente estranee alla manifestazione del dissenso. 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In seguito alle manifestazioni che hanno visto numerosi cittadini scendere in piazza nelle ultime settimane a Praga e in diverse città del Paese, il miliardario populista Babis è sotto forte pressione. Protestano contro la nomina di un nuovo ministro della Giustizia, che dicono potrebbe compromettere gli equilibri del sistema legale in un momento in cui i pubblici ministeri devono decidere se mettere sotto accusa Babis per presunte frodi che coinvolgono fondi dell’Unione europea.\r\nIl malcontento della grande massa che ha attraversato Praga ha il carattere che abbiamo riconosciuto sempre più spesso nelle proteste degli ultimi anni: un popolo estenuato dall'apparato politico del suo paese, che fatica a riconoscersi nelle sue rappresentazioni parlamentari ma che non riesce in alcun modo a incanalare la rabbia in una forma politica costruens, in un'opposizione coerente.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Leonardo Benedetti, referente dell'East Journal, cercando di capire quali sono i potenziali sviluppi di queste giornate di protesta giustizialista.\r\n\r\nContro Babiš e il suo sistema\r\n\r\n ","9 Giugno 2019","2019-06-11 13:26:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/prague2019-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/prague2019-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/prague2019-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/prague2019-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/prague2019-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/prague2019.jpg 1500w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Piazza Venceslao, Praga. 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