Il “virus politico” di Hong Kong

Scritto dasu 15 Maggio 2020

La normalità è tornata sull’isola di Hong Kong. E la normalità dell’isola coincide ancora con le proteste contro la governatrice Carrie Lam e l’imponente ombra cinese sulla giurisdizione della città.
Il governo ha approfittato dell’emergenza covid per sferrare diversi colpi al movimento, colpendolo con ondate di arresti e lasciando alla popolazione il compito di tutelarsi dall’epidemia.

Malgrado il coronavirus infatti era rimasta in vigore l’ordinanza che vietava l’uso di qualsiasi tipo di mascherina, anche per motivi sanitari. Tuttavia, probabilmente grazie all’esperienza accumulata con la SARS, a Hong Kong il coronavirus ha avuto un impatto molto blando con un numero ridotto di contagiati ma soprattutto di morti, con la maggior parte delle persone che ha giustamente infranto la suddetta legge per tutelare se stessi e gli altri.

I centri commerciali sono tornati al centro delle proteste, soprattutto con il divieto di assembramenti ancora in vigore, poiché permettono ai manifestanti di radunarsi senza essere immediatamente riconoscibili dalle forze dell’ordine e disperdersi nella folla dopo le manifestazioni. Non sono tuttavia mancati scontri, barricate e moltissimi arresti.
La violenza sbirresca continua a essere all’ordine del giorno e i video continuano a rimbalzare sui social dove a oggi sembra ancora elevatissimo il sostegno di gran parte della popolazione nei confronti dei manifestanti, ma soprattutto contro la polizia e il governo filocinese.

In collegamento Ilaria Maria Sala, esperta sinologa e corrispondente per diverse testate giornalistiche internazionali, per un aggiornamento  di quello che è stato definito dall’ufficio cinese per gli Affari di Hong Kong un “virus politico” ben più pericoloso del covid-19.


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