
Taranto blocco al porto contro Eni complice del genocidio.

La mobilitazione contro il genocidio sionista ha bloccato il porto di Taranto dove era approdata al molo gestito dall’Eni la nave Sea Salvia ,per caricare il greggio destinato all’esercito israeliano.
Di fronte alla mobilitazione dei tarantini l’Eni ha comunicato che la nave non sarebbe stata rifornita e che la destinazione sarebbe stata Port Said in Egitto .Una squallida operazione di greenwashing perchè il 26 sera l’Eni ha autorizzato l’attracco .
La sera del 26, le realtà solidali con la Palestina hanno constatato che la nave stava effettivamente attraccando al porto di Taranto con il consenso di Eni, mascherando la destinazione prevista in Israele. L’operazione ha reso evidente la complicità tra istituzioni, Eni e autorità portuale, che hanno agito per permettere l’attracco e nascondere quanto stava avvenendo alle comunità in lotta
I manifestanti , sollecitati dal movimento dello sciopero generale del 22 settembre, dai continui blocchi dei porti in tutta Italia, e dalla mobilitazione costante che avevano preparato in questi mesi – e che li ha visti nella giornata del 27 a Grottaglie a manifestare davanti alla sede della Leonardo si sono diretti al porto. Insieme al coordinamento delle organizzazioni della diaspora palestinese , dei sindacati di base, sono accorsi al molo dell’Eni . Il blocco del greggio aveva un forte valore simbolico: il petrolio è simbolo del genocidio e della complicità italiana, che continua a rifornire Israele di armi e carburante mentre propone il riconoscimento di uno stato palestinese ormai a brandelli; e il petrolio è simbolo della zona di sacrificio, perché è in nome di un sistema fossile e produttivo cui Taranto è stata sacrificata.
Nonostante la mobilitazione il blocco è riuscito solo a ritardare le operazioni di rifornimento ,ma ha messo di fronte alle proprie responsabilità l’Eni e gli amministratori locali che hanno tentato di fare i pompieri della situazione senza successo .
Pur avendo solo rallentato il carico, l’ azione diretta ha dimostrato che è possibile rompere l’assedio anche a Taranto, dimostrando che occupare per liberare è possibile quando una comunità sente nel profondo l’ingiustizia e rifiuta di esserne spettatrice.
Ne parliamo con un compagno di Taranto per la Palestina.