Eco-ansia: un nuovo strumento di medicalizzazione?

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L’eco-ansia è considerata una forma specifica di ansia. Viene studiata in ambito scientifico da psicologi, scienziati sociali, sociologi, filosofi, etc. Si ritiene colpisca maggiormente i più giovani e chi, per lavoro, si occupa di studiare e trovare soluzioni alle conseguenze nefaste del cambiamento climatico.

Questo stato di disagio si manifesta con un acuto senso di scoraggiamento e angoscia rispetto ai rischi ambientali, un’ansia che riguarda le condizioni stesse di esistenza della specie umana sul pianeta. Ai livelli più acuti, l’ansia può trasformarsi in disperazione o apatia.

Sebbene il riconoscimento di questa forma di disagio mentale sia sicuramente un fatto rilevante e necessario (la sua negazione rientrerebbe, infatti, nel filone di chi deride e ridicolizza le preoccupazioni legate al futuro del pianeta), tuttavia ci si è già spinti un po’ (troppo) più in là: l’eco-ansia sembra essere la nuova patologia del millennio, a cui si dedicano ricerche e studi e, soprattutto, nuove cure, fatte di psicofarmaci, psicoterapie mirate e mirabolanti: tra queste, passeggiate nella foresta, riconnessioni con la natura, quella idealizzata, idilliaca e ormai – se mai è esistita – quasi introvabile.

Patologizzare l’ansia rispetto ai cambiamenti ambientali equivale a bollare chi la prova come incapace di provare i “giusti” sentimenti; come emotivamente debole; come vittima di un pensiero irrazionale nei confronti della realtà e, quindi, bisognoso di cure, di re-indirizzamento verso uno stato normale, razionale e funzionale. Eppure, sentirsi angosciati per il destino del mondo che conosciamo è perfettamente razionale: non solo abbiamo prove scientifiche di una crisi ecologica senza precedenti in corso, ma ne vediamo ormai gli effetti coi nostri occhi.

Finchè si crederà che per curare l’ansia si debbano sedare i suoi sintomi, invece che agire sulle sue cause, l’eco-ansia sarà solo un’ennesima trovata greenwashing per evitare gli slanci che portano al cambiamento del presente e per mantenere chi soffre un disagio psichico in una posizione di passività e inattività.

Ne abbiamo parlato qui:

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