“Il riconoscimento” è il prerequisito della giustizia. In un mondo in cui gli attori politici sono ridotti a spettacolo, l’unica giustizia possibile è quella dell’immagine, quella del corpo che agisce senza parlare. E così l’influencer nazionalista diventa il nuovo volto di un’epoca che ha smesso di pensare e ha iniziato a guardare.
Questa estetizzazione della giustizia si radica nel degrado cognitivo e sociale delle società neoliberali. La rapidità dei contenuti, la superficialità della comunicazione, l’emotività della visione virale, tutto contribuisce a rendere la giustizia un’azione estetica. L’influencer non opera un’analisi razionale del conflitto, ma lo esibisce come un’azione immediata, direttamente esecutiva. La giustizia diventa così una performance, non una deliberazione. La sua efficacia è garantita dalla sua visibilità.
Nel paradigma attuale, il reale non viene analizzato: viene consumato. Il degrado diventa pornografia urbana. Un genere codificato. Telecamere traballanti, voci allarmate, riprese notturne, facce sgranate: estetica dell’insicurezza. Il quartiere non viene raccontato: viene spettacolarizzato. La rappresentazione del disagio diventa un genere televisivo. Il degrado diventa format.
E il pubblico consuma. Non interroga, non riflette, consuma. Il tossico diventa l’equivalente urbano del mostro in un film horror: genera repulsione e sollievo. Repulsione per la sua esistenza, sollievo per non esserlo.