Accordo sulla rappresentanza: tempi di guerra
Il 10 gennaio di quest’anno CGIL, CISL, UIL e Confindustria hanno firmato il testo attuativo degli accordi sulla rappresentanza siglato lo scorso 31 maggio. Il 18 gennaio la CGIL ha confermato l’accordo con il 95 favorevoli e 13 contrari. Un Landini tardivamente pentito ha dichiarato che l’accordo non impegna la Fiom. Quando dalla stalla lasciata scientemente aperta scappano tutti i buoi Landini cerca di salvare la faccia, per non perdere troppi iscritti.
Negli anni Settanta, dopo la firma di un contratto, i lavoratori non sapevano se sarebbero riusciti ad “esigerlo”, o, meglio, non sapevano se sarebbero riusciti a farlo subito o avrebbero dovuto fare altri scioperi per imporre al padrone quanto pattuito.
Oggi sono i padroni a preoccuparsi “dell’esigibilità” dei contratti. Evidentemente oggi i sindacati firmano accordi che soddisfano solo i padroni, che tuttavia temono che i lavoratori non si pieghino alle riduzioni di salario e alle gabbie normative sottoscritte da CGIL, CISL e UIL.
L’accordo sulla rappresentanza sindacale perfezionato in questi giorni è una corda al collo dei lavoratori.
Le nuove regole per misurare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e per dare “certezza” agli accordi sindacali, che una volta approvati e ratificati a maggioranza semplice varranno coattivamente per tutti, sono un regalo ai padroni, che i sindacati di Stato fanno per mantenere ruolo, privilegi, soldi per il proprio pletorico apparato di funzionari.
In pratica l’accordo istituisce il maggioritario sindacale con soglia di sbarramento. Anche peggio del Porcellum elettorale, perché il Porcellum, pur premiando in maniera aborme chi prendeva più voti e pur negando agli elettori la possibilità di scegliere i candidati, non imponeva agli altri l’accettazione preventiva del programma degli avversari per poter presentare le liste.
Al di là dello sbarramento al 5% fruiscono del diritto alla rappresentanza solo le organizzazioni che sottoscrivono l’accordo impegnandosi al rispetto di tutte le sue parti.
E’ come se la nuova legge elettorale stabilisse che possono candidarsi al parlamento solo le forze politiche che sottoscrivono la politica di austerità, il fiscal compact e quanto altro serva.
Tutti sindacati che non si riconoscono in CGIL, CISL UIL sono esclusi preventivamente così come ogni nuova rappresentanza del mondo del lavoro. In base al principio che chi siede al tavolo oggi occupa tutti i posti presenti e futuri, il maggioritario serve a disciplinare ciò che resta di diversità conflittuale.
Il maggioritario sindacale stabilisce che una volta scremata preventivamente tra buoni e cattivi la presenza al tavolo, tra chi rimane la maggioranza decide e la minoranza si adegua.
Tra i sindacati firmatari, accedono al tavolo quelli che rappresentano più del 5% tra iscritti e voti per la elezione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie. Dove i lavoratori non votano per eleggere chi li rappresenta, ma il sindacato nomina propri fiduciari con le RSA, si continuerà a non votare e conterà per la misura della rappresentanza solo il numero degli iscritti.
Fatti tutti questi conteggi, i sindacati che assieme raggiungono il 50% più uno della rappresentanza decidono.
Sulla piattaforma decidono le organizzazioni senza consultazione dei lavoratori e le aziende trattano solo con la maggioranza, la minoranza sta al tavolo e guarda.
Sugli accordi decide la stessa maggioranza e consulta i lavoratori, in modalità certificate da definire. Cioè non necessariamente con il referendum, ma anche con il voto palese registrato in assemblea. Sotto questo aspetto l’accordo è più arretrato del modello Marchionne, che è stato instaurato con il referendum.
Una volta deciso si esegue, anche se l’accordo non ti piace.
Alcuni dirigenti sindacali hanno ipocritamente sostenuto che non avrebbero accettato sanzioni contro gli scioperi. L’intesa confederale peraltro non ha questo compito, perché ha definito l’accordo quadro che verrà formalizzato nei contratti e negli accordi aziendali.
Il testo in ogni caso non si presta ad equivoci. I firmatari si impegnano a definire nei contratti “clausole di raffreddamento”, cioè inibizione dello sciopero e delle azioni legali. E non esiste clausola di raffreddamento che non preveda sanzioni per chi non la rispetta.
In sostanza nessuno potrà scioperare contro un contratto non condiviso. Nuovi lacci imbriglieranno il diritto di sciopero e chi non rispetterà i paletti fissati da sindacati di Stato e Confindustria incorrerà in sanzioni. Solo i sindacati firmatari dell’accordo saranno ammessi ai tavoli di trattativa a qualsiasi livello.
Con questo accordo i sindacati confederali si garantiscono il “monopolio” della rappresentanza sindacale.
Interessante è la reazione di settori di sindacalismo di base che reclamano una legge dello Stato che regolamenti la rappresentanza sindacale. Una follia.
Una follia che tradisce da un lato la dura incrostazione statalista dei sindacati di tradizione comunista, dall’altra la incredibile fiducia, tipica dell’approccio liberale, nello Stato come garante delle libertà sociali.
Un approccio squisitamente ideologico che non coglie che le leggi sono la rappresentazione ritualizzata dei rapporti di forza tra le parti sociali. Spesso – è il caso dello “statuto dei lavoratori” – garantiscono diritti per evitare che l’onda dei movimenti ponga all’ordine del giorno una trasformazione tanto radicale delle relazioni sociali da far saltare ogni possibilità di mediazione.
Oggi una legge sulla rappresentanza trasformerebbe un accordo privato in una norma coattiva.
La partita si gioca altrove. Solo la radicalità del conflitto, la capacità di creare legami tra lavoratori divisi dalla frantumazione imposta mei 30 lunghi anni di desertificazione delle lotte, può rovesciare il tavolo e scrivere una pagina diversa.
Il panorama che si apre ripropone lo scontro sociale nella sua forma più cruda, senza tutele né garanzie.
Ne abbiamo discusso con Stefano Capello della CUB.
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