Gli anarchici, la resistenza, il revisionismo
Anche quest’anno il 25 aprile si farà la commemorazione alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni, morto combattendo i nazifascisti il 26 aprile del 1945. La lapide che lo ricorda è nel centro del quartiere operaio di Barriera di Milano, all’angolo tra corso Giulio e corso Novara.
Oggi rimane solo un pezzo di muro con la pietra, il nome, la foto scolorita.
Sino ad una trentina di anni fa quel muro era la spalletta di un ponte su un piccolo canale.
Era una zona di babbriche ed un borgo di operai. Operai combattivi, gli stessi dell’insurrezione contro la guerra e il carovita del 1917, quelli dell’occupazione delle fabbriche, della resistenza al fascismo, gli anarchici che durante gli anni più bui della dittatura mantennero in piedi un gruppo clandestino, la gente degli scioperi del marzo ’43.
Oggi sono quasi del tutto scomparsi anche i ruderi di quelle fabbriche. Delle ferriere, dove lavorava Baroni, restano solo gli imponenti travoni di acciaio in mezzo ad un improbabile parco urbano tra ipermercati e multisale.
Il cuore del quartiere è cambiato. La Barriera aveva resistito agli anni dell’immigrazione dal sud, facendosi teatro di lotte grandi tra fabbrica, scuola, quartiere, eludendo il rischio della guerra tra poveri, del razzismo per costruire una stagione di lotte, che ormai trascolora nella memoria dei tanti la cui vita ne è stata attraversata.
Oggi vivere qui è più difficile che in passato: non è solo questione dei soldi e del lavoro che non c’è, e, se c’é è sempre più nero, pericoloso, precario.
C’è un disagio diffuso che non sa più farsi percorso di lotta, c’é latente la rabbia verso i tanti immigrati africani, magrebini, cinesi, romeni, peruvianio che ci abitano e l’hanno cambiato.
Un po’ il vento sta cambiando ma per ora è solo una brezza lieve.
Noi ogni anno ci ritroviamo alla lapide: si parla, si brinda, si chiacchiera con chi passa. Non è solo una commemorazione. E’ la scelta tenace per i tanti di noi che in questo quartiere sono nati e continuano a vivere, di alimentare la lieve brezza che segnala il mutare dei tempi. Annodiamo i fili della memoria di ieri con le lotte di oggi.
Con Roberto Prato abbiamo sfogliato le pagine della resistenza a Torino, quando Ilio, operaio toscano emigrato a Torino negli anni venti, era comandante della VII brigata Sap delle Ferriere.
Le Sap, Squadre di Azione Patriottica, dove lottavano partigiani provenienti da diverse realtà politiche, sabotavano la produzione, diffondevano clandestinamante le idee antifasciste, e si preparavano all’insurrezione. Ilio, nome di battaglia ”il Moro”, al comando della squadra di manovra Sap, è protagonista di azioni di guerra in stile gappista.
Il 25 aprile a Torino la città è paralizzata dallo sciopero generale, scoppia l’insurrezione, la città diventa a breve un campo di battaglia.
Baroni e i suoi attaccano la stazione Dora e si guadagnano un successo, ma giunge una richiesta d’aiuto dalla Grandi Motori. Il Moro non esita ad aiutare i compagni nel mezzo di una battaglia furiosa, e cade sotto il fuoco tedesco. È il 26 aprile. Il giorno dopo la città sarà completamente liberata dai fascisti, senza dover nemmeno aspettare l’arrivo delle formazioni esterne.
Il 28 aprile i volontari della libertà di tutte le formazioni percorrono le vie di Torino.
Ilio Baroni non potrà vedere il momento per cui ha lottato duramente tutta la vita…
Ascolta l’intervista con Roberto Prato
Degli anarchici italiani nella resistenza abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all’università di Trieste.
Con Claudio abbiamo affrontato anche il tema del revisionismo, che negli ultimi anni ha portato addirittura ad una sorta di equiparazione tra partigiani e i torturatori ed assassini della Repubblica di Salò.
Le radici di un revisionismo che ha avuto tra i protagonisti anche esponenti della sinistra è nel manacto riconoscimento collettivo dei crimini del fascismo, troppo spesso opposto al nazismo, tramite una grande operazione di negazione della ferocia del colonialismo italiano in Libia come nel corno d’Africa, del totale misconoscimento degli inenarrabili orrori che hanno segnato l’occupazione italiana della Jugoslavia e della Grecia.
Una rimozione collettiva retta da un mito tanto tenace quanto falso, quello degli “italiani brava gente”.
Ascolta la diretta con Claudio