Italiani brava gente? Il razzismo contro slavi ed ebrei a Trieste
In occasione del 75° anniversario dell’annuncio delle leggi razziali, fatto a Trieste il 18 settembre 1938 da Benito Mussolini, il Comitato Cittadini Liberi ed Eguali promosse lo scorso anno un convegno. Dalle relazioni a qull’incontro è nato un libro.
Un libro che raccoglie sia gli interventi di esperti e studiosi sia le testimonianze di persone che quel giorno erano in Piazza Unità. Per l’occasione vennero recuperati filmati e foto dell’epoca. In tre quarti di secolo, le istituzioni democratiche hanno ignorato la ricorrenza. Il libro è un tentativo di sedimentare una memoria quasi cancellata.
L’antisemitismo a Trieste, strettamente collegato a quello di matrice austriaca e tedesca, offre strumenti per lo sterminio degli ebrei giuliani, messo in pratica dopo l’8 settembre 1943, nel famigerato Adriatische Küstenland. Appositi uffici dell’anagrafe si occuparono di redigere con zelo le liste degli ebrei triestini, elenchi che poi consegnarono agli agenti nazisti, incaricati nel 1943 degli arresti e delle deportazioni.
Le spinte razziste, sia antisemite che antislave, all’interno di una conflittualità nazionale compaiono, sia pure in forme non ancora apertamente violente, già prima della Prima Guerra Mondiale. Dopo il 1918 l’identità italiana è spesso vissuta come una condizione di superiorità nei confronti degli “slavi rurali” ai quali è assegnato un posto subordinato in quanto appartenenti a una “civiltà inferiore”. Anche la lotta antisemita costituisce un elemento caratterizzante la proclamata italianità a partire dalla metà degli anni Trenta. Un dato preoccupante è fornito dal largo consenso, anche se non totale, che le leggi razziali riscontrano nella popolazione triestina e di cui è un documento visivo la folla “oceanica” di Piazza Unità.
La Trieste culla di tolleranza e inclusività è solo un mito. La realtà fu di breve durata e non va oltre la metà dell’Ottocento, quando si nota l’inizio di una forte propaganda antiebraica, in particolare ad opera della tendenza cattolica che fa riferimento ai cristiano-sociali, movimento politico religioso e nazionalista notevolmente attivo nel capoluogo giuliano.
Per questa area politica e culturale occorre circoscrivere il potere degli ebrei, puntabndo l’indice contro gli ambienti liberal-nazionali che registrano una notevole presenza di persone di origine ebraica: i Venezian e i Mayer per citare due importanti famiglie economiche e politiche. Questo gruppo di pressione egemonizza il Comune e condiziona la vita cittadina in direzione laica, conservatrice e di esplicita simpatia verso il Regno d’Italia. Anche ambienti sloveni borghesi si associano, per motivi di interesse economico, a questa critica antisemita che animalizza la figura del nemico “parassita” accusato di succhiare il sangue ai cittadini comuni. A loro volta, i liberal-nazionali danno vita a forme di propaganda antislava che rasentano il razzismo. Sia nell’antisemitismo che nell’antislavismo, che emergono chiaramente in una parte della stampa dell’epoca, come su “L’indipendente”, si riconoscono vari gruppi cittadini talora molto differenti tra loro per mentalità di classe e ispirazione ideologica. In alcuni casi, come in Ruggero Fauro Timeus, i due razzismi si fondono e costituiscono l’ossatura teorica di una parte della cittadinanza triestina piuttosto diffidente verso gli ebrei, giudicati troppo potenti, e verso gli sloveni, considerati popolazione contadina sottosviluppata. Le correnti irredentiste nazionaliste manifestano, fino al 1914 e oltre, una spiccata volontà xenofoba e forniranno perciò elementi fondanti del futuro razzismo fascista.
Il discorso di Mussolini del 18 settembre 1938, con il presunto privilegio concesso ai triestini di assistere alla presentazione delle leggi razziali, non è quindi un fulmine a ciel sereno. Si basa invece su un terreno culturale e politico già intriso di pregiudizi e discriminazioni.
La dannazione della memoria tipica della cultura italiana del secondo dopoguerra utilizza il mito falso dell’italiano brava gente per assolvere il popolo e, in ultima analisi, anche il Ventennio fascista, dall’accusa di antisemitismo, razzismo antislavo, dai genocidi perpetrati dall’Italia coloniale e fascista in Libia e nel Corno d’Africa.
Un esempio interessante ci viene offerto all’inizio degli anni Sessanta. Il processo celebrato in Israele contro Adolf Eichmann, catturato in Argentina, venne seguito anche dal “Piccolo” e dal settimanale diocesano “Vita Nuova”.
Eichmann era una delle rotelle che contribuirono a far funzionare il complesso meccanismo di eliminazione di massa degli ebrei, dei rom e dei sinti.
Se Eichmann – nella felice definizione che ne diede Hanna Harendt – era il segno di quanto banale sia il male, i due giornali triestini, esaltando qualche episodio di ebrei salvati da italiani, contribuisce a costruire e rinsaldare la falsa contrapposizione tra italiani “buoni” e tedeschi “cattivi”, assolvendo i primi dalle più che fondate accuse di collaborazionismo.
Queste note sono liberamente tratte dall’introduzione al libro curata da Claudio Venza.
Con Venza, già docente di storia contemporanea all’Università di Trieste, abbiamo preso spunto dall’uscita di questo libro per smontare il mito dell’italiano brava gente, raccontando la storia durissima delle persecuzioni subite dalla maggioranza slovena della zona, prima e durante il conflitto mondiale.
L’assenza di una radicata coscienza della ferocia del colonialismo italiano, l’esaltazione di episodi minori di solidarietà forniscono un alibi al razzismo iltaliano di ieri e di oggi, che va smascherato in tutta la sua crudezza.
Lo ha fatto in modo encomiabile con i suoi lavori storici Del Boca, occorre tuttavia lavorare perché divenga sapere condiviso, capace di oltrepassare il circuito degli storici, permeando le nostre periferie, dove affondano le mani i fascisti, che alimentano il pregiudizio razzista e attizzano il fuoco della guerra tra poveri.
Ascolta la diretta con Claudio Venza: