Le Barman de Satan – Il metodo Comelade
Conoscete qualcuno che in vita avesse una tribute band in Giappone? Se escludo Vasco, M.Jackson e Elvis a me non viene in mente che Pascal Comelade. Solo che di lui, se cerchi online non trovi granchè. Solo dischi strani in pochissime copie.
Per questo il suo nome non vi dice niente. A meno che non abbiate avuto a cuore le vicende più torbide e underground della Francia in uscita dai luninosi anni 70, dove il folk più intelligente si mescolava con il jazz, il minimalismo e l’elettronica in un pout-pourri sperimentale che andava da Magma a Francois Tusques.
La storia inizia col botto; nei primi ’70 collaborava con un altro outsider contumace come Richard Pinhas per musicare le avventure spaziali di un astronauta pasticcione che ha confuso le fialette: Frippiani e Krautici, gli Heldon uscirono allo scoperto con una musica antica e modernissima che si stabilizzava in equilibrio tra retro-futuro e robot analogici, chitarre liquide e oscurità dei corpi celesti (i Giappo sarebbero impazziti trasformando i dischi di Heldon in fetitcci/opere d’arte, con quotazioni assurde).
Ma dicevo del metodo Comelade; è difficile spiegarvi come siano possibili le collaborazioni con Robert Wyatt, Pj Harvey, Jac Berrocal, Pierre Bastien. Non le sentì nessuno o quasi, mentre gli anni 80 andavano verso la fine, il nostro monsieur regalava LP in 100 copie, migliaia di cassette, cdR, regisatrazioni live. Comelade e la sua arte stanno all’esatto incrocio tra l’arte circense, il troubadour ubriacone che fa sosta in qualche sperduto paesino dei pirenei e la scollata irriverenza di un madonnaro che ci propone capolavori e copie di capolavori a pochi euro. E’ arte povera, composta con mezzi minimi (anche rispetto alle dimensioni, il kit Comelade è fatto principalmente di mini-strumenti) ma pensata in grande. Mentre te ne stai al bar, oppure oziando per i cazzi tuoi, potrai sempre incontrare una melodia di Comelade che appare e scompare come la Morgana nel deserto.
Comelade ha vissuto intensamente la musica rimettendo al loro posto giuste influenze in uno schema preciso: un sottobosco originalissimo che spinge etnofolk miniato dai Pirenei, strimpella pianoforti giocattolo incrociando con nonchalanche musica da camera e psichedelia. E’ cameristica divertente, privata di tutta la dura scorza intellettuale, fatta da suoni infantili, carrillon, mini-piano e da frequenti recitati, talvolta diventa pure sinfonicamente orchestrata (less is more) anche sui bozzetti brevi, quasi filmici.
Tutto ciò in una girandola di collaborazioni, temi, viaggi, incontri, prove, one take e stranezze varie in una discografia semi-ufficiale dove per non perdersi bisogna lasciare dietro di sè le bricioline di pane a-la Hansel & Gretel
Il mio giudizio l’avrete capito: sporcaccione, ventriloquo, autocostruttore di generatori d’impulso e altri strumenti reietti, Comelade è un Archimede pitagorico dell’outsider music, inventore di mondi in perenne conflitto. In più di 20 anni ha scritto piccole e bellissime musiche, sia da solo suia con l’ensemble Bel Canto. E l’HI-FI non l’ha mai sfiorato, come le lusinghe di successo, hype o danaro.
Ascoltate questa musica mentre vi sbronzate lentamente a Pernod, fumando gitanes. Prendetevi pure la libertà di sparare cazzate. Molte di queste musiche sono nate così.
Postilla discografica: Esce nel 2014 la raccolta definitiva che mette insieme le edizioni ultralimitate dei lavori di Comelade attraverso un decennio. E i dischi sono pieni di intuizioni, melodie leggere, rumori e collaborazioni azzeccate. E’ difficile descrivere una musica così normale eppure così strana: qualcosa che prende dallo spirito del tempo e dalle sue influenze mescolandosi con il gusto “pop” e le tensioni da festa di paese di Comelade. Un viaggio in un museo allestito da un artigiano come non ne nascono più.