Egitto: la normalizzazione impossibile

Nonostante la vittoria elettorale, il governo dei Fratelli Musulmani non riesce a produrre una transizione normalizzatrice, dentro un Egitto che continua ad essere attraversato da conflitti sociali enormi, sintomi ed effetti di contraddizioni irrisolvibili entro il quadro sistemico attuale. Prodotto anche della spinta rivoluzionaria che, vissuta con speranza soprattutto dalle giovani generazioni, continua a spingere le piazze contro l’accettazione di un ritorno a casa imposto dall’alto.

Nell’ultima settimana, la sentenza molto dura contro alcuni ultras della squadra di Port Said (gli ultras sono state una sorta di milizia popolare durante le giornate eroiche del febbraio 2011 che si conclusero con la cacciata di Mubarak) è stata la molla che ha fatto partire proteste popolari culminate in scontri molto violenti. Le violenze sono esplose durante un’ingente manifestazione popolare contro la detenzione di decine di persone, arrestate dopo gli scontri dello scorso anno nello stadio di Port Said, durante i quali morirono 74 persone. La polizia ha tentato di disperdere la folla riunita di fronte agli uffici del governo locale mentre 39 prigionieri venivano trasferiti in un altro carcere, lanciando gas lacrimogeni.

Nel frattempo nella città di Port Said e in quella di Mahlalla si sono fatte strada esperienze autogestionarie molto avanzate che ad alcuni hanno fatto venire in mente il paragone con l’esperienza della comune parigina del 1871. A gettare benzina sul fuoco, la visita al Cairo del segretario di stato americano John Kerry che hanno trovato ad accoglierlo una nuova sollevazione in piazza Tahrir.

Centinaia i feriti e gli arrestati, 7 i morti in questa nuova fiammata di rivolta che ha attraversato le piazze non pacificate dell’Egitto.  Ne abbiamo parlato con Paolo Gerbaudo, compagno e giornalista free-lance che periodicamente vive e lavora in Egitto.

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