Bastioni di Orione 4/11/2021
La puntata di oggi, si potrebbe intitolare con un richiamo gattopardiano” affinché tutto cambi tutto deve restare uguale” riferibile tanto alla questione del Libano che a quella del Sudan.
Del Libano ne parliamo con Lorenzo Forlani che risiede a Beirut e che ci riferisce degli ultimi avvenimenti con un occhio di riguardo al sistema confessionale che rappresenta forza e debolezza del Paese che andrà alle urne il prossimo anno e rappresenta retaggio ancestrale che assicura continuità di voto così come limite alle pulsioni elettorali dei millenians. Ci si chiede se quello che sta accadendo sia una strategia per eliminare Hezbollah e la componente sciita per fini tristemente economici che aprirebbero la sponda ai grandi investitori e agli americani con cui il Paese sarebbe ricoperto di prestiti.Rimangono gli stessi nomi, la stesse divisioni tra la componente maronita sunnita e quella sciita e di Hezboah accusata dalla prima di tenere in ostaggio il Paese e mantenendo vivi i sospetti di un qualche coinvolgimento sull’ esplosione di agosto 2020 ancora senza un colpevole.
Parliamo con Adam rappresentante della comunità sudanese a Roma e con Antonella Napoli giornalista e collaboratrice dell’ISPI del colpo di stato in Sudan lo scorso 25 ottobre che ha interrotto il governo di transizione e al quale è seguita la continua opposizione della popolazione contro i militari che ostentano velleità di onnipotenza e già in passato autori del genocidio in Darfur. La forte quanto lungimirante ostinazione popolare di non stringere accordi con tali personaggi non è stata in tempo captata dall’esecutivo destituito. Intanto la popolazione paga il prezzo come sempre: mancanza delle comunicazioni, chiusura delle banche, arresti e detenzioni arbitrarie completano il disastroso scenario. Gli interessi egiziani, dell’Arabia Saudita e degli Emirati hanno messo il loro sigillo. Ambigua la posizione di Israele che per ora fa finta di niente dopo il riconoscimento ufficiale da parte del Sudan , anche il non esporsi d’ altronde è una mossa politica. Il tentativo di impedire il progetto della grande diga accomuna la giunta sudanese a quelli che sono gli intenti dell’Egitto che quando vuole qualcosa non sta certo a guardare. Disastroso l’impatto di tale situazione per i profughi rifugiati in Sudan in seguito alle violenze della guerra del Tigray. Insomma questa tanto agognata democrazia è stato un ologramma già svanito.