Antifascisti in manicomio. I lager della follia
Venerdì 7 marzo
“Capaci di intendere e volere. La detenzione in manicomio degli oppositori al fascismo” di Marco Rossi.
Presentazione del libro con l’autore
alle 21 in corso Palermo 46
Ascolta l’intervista con Marco:
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I lager della follia
La psichiatria nasce come scienza dedita alla normalizzazione e alla reclusione e, da quando esiste, svolge il suo ruolo repressivo affiancando poteri politici, sociali e religiosi.
In Italia il sistematico utilizzo del manicomio per reprimere silenziosamente gli oppositori era stato teorizzato nell’Ottocento dal criminologo Cesare Lombroso e applicato dallo Stato liberale contro il nascente movimento operaio e contadino.
Durante il regime fascista centinaia di donne e di uomini, “schedati” per le loro idee e il loro agire in contrasto con l’ordine costituito, sono stati privati della libertà, non solo in carcere o al confino, ma anche dentro strutture manicomiali.
La psichiatria diventa complice del potere, il sapere medico viene asservito al potere poliziesco e giudiziario: la detenzione manicomiale venne praticata con logica totalitaria e disumana, nel tentativo di zittire le voci del dissenso e di annientare le vite e le intelligenze non sottomesse, rinchiudendo e torturando i corpi delle persone libere nei lager della follia.
Le diagnosi usate per internare oppositori e dissidenti erano “politiche”: epilessia politica, follia bolscevica, squilibrio politico, altruismo morboso, pericolosità sociale. Queste etichette dimostrano come un pensiero possa subire lo stravolgimento della propaganda e possa essere fatto passare per deviante, e messo pertanto fuori gioco. Se infatti all’interno di un carcere o al confino, l’individuo mantiene la sua dignità di oppositore, all’interno del manicomio esso è un “folle” come tanti e il suo pensiero è frutto della sua malattia.
Ancora oggi, a trent’anni dalla chiusura dei manicomi, la psichiatria continua nelle pratiche di etichettamento diagnostico, marginalizzazione, repressione e manicomializzazione di individui ed esperienze non allineate e non allineabili. Oggi l’internamento viene fatto attraverso pratiche “eccezionali e di urgenza”, come il trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Vicende tragiche come quella di Franco Mastrogiovanni, morto dopo essere stato abbandonato legato ad un letto per quattro giorni, ne hanno svelato la violenza e atrocità.
Gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), lontana eredità della scuola di Lombroso, avrebbero dovuto chiudere un anno fa, resteranno aperti sino al 2018. Sono luoghi di reclusione e tortura, dove uno psichiatra può decretare la reclusione a vita, anche se il reato per il quale si è stati dichiarati “incapaci di intendere e volere”, è un banale furtarello.
Oltre alla reclusione coatta, la psichiatria oggi più di ieri continua ad inventare nuove malattie, ad etichettare comportamenti finora ritenuti “normali” e che diventano “devianti” e da curare, allargando così il suo bacino di utenti e consumatori di psicofarmaci. L’invasione della diagnosi nelle nostre vite e l’uso istituzionale di pseudopatologie, smitizzano anch’esse la pretesa imparzialità della psichiatria, così come le storie raccontate in questo libro.
Ancora una volta la follia non è quella degli ospiti dei manicomi, ma piuttosto la follia degli psichiatri e delle loro diagnosi, la follia delle parole di Lombroso, la follia di una scienza asservita al potere.
Collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
Federazione Anarchica Torinese