Doveri senza diritti – Riflessioni sul referendum per la cittadinanza
Black In
L’8 e il 9 giugno si voterà per la modifica della legge sulla cittadinanza 91/1992 che da più di trent’anni disciplina le possibilità di diventare “cittadinə italianə”. Da sempre la cittadinanza è usata come dispositivo di esclusione, uno strumento che lo Stato concede con il contagocce a quelli che reputa dei “bravi immigrati”. Senza la cittadinanza non è possibile: partecipare ai concorsi pubblici, votare e candidarsi, usufruire della libertà di movimento senza vincoli, iscriversi ad alcuni albi professionali; ma soprattutto si vive in funzione del rinnovo del permesso di soggiorno e del malfunzionamento delle questure.
Il referendum propone il dimezzamento degli anni di residenza necessari per acquisire la cittadinanza, passando così da 10 a 5 anni. In questo scenario la modifica della legge sulla cittadinanza produrrebbe effetti positivi sulla vita di molte persone e sullə loro figliə, regolarizzando 3 milioni di persone che da anni sono sottoposte al ricatto del permesso di soggiorno.
Tuttavia, questa misura rappresenta un punto di partenza piuttosto che di un punto di arrivo, rendiamolo uno spunto per aprire una discussione collettiva sul razzismo sistemico: dalla legge sulla cittadinanza, alla violenza delle questure e degli uffici per i rinnovi.