frittura mista|radio fabbrica 26/04/2022

IL 25 APRILE DI GENERE INTERNAZIONALISTA

 

Durante la puntata odierna abbiamo cercato di raccontare il 25 aprile con un respiro internazionalista e di genere. L’idea è stata quella di raccontare, attraverso la radio, la rivoluzione
e la resistenza a partire delle partigiane durante la seconda guerra mondiale intrecciandola con le scelte rivoluzionarie delle donne kurde nel Rojava e delle donne che resistono e lottano nella striscia di Gaza in Palestina.

Siamo partiti con la lettura di alcuni pezzi della “Resistenza taciuta” (La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi di Anna M. Bruzzone e Rachele Farina – Bollati Boringhieri, 2016).

Per decenni a livello storiografico ed istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario poiché la lotta per la Liberazioneveniva, per ovvie ragioni, declinata al maschile. Proprio perché da sempre relegate tra le mura domestiche e imbrigliate in ruoli determinati, le donne quando raccontano la loro esperienza partigiana hanno avuto la tendenza a autosvalutarsi o a banalizzare il contributo apportato. La partigiana Nelia Benissone Costa disse a tal proposito:
“tanto gli uomini sono pieni di sé, tanto le donne preferiscono tacere”. Per questo motivo è per molti denominata Resistenza taciuta. La storia delle donne nella Resistenza è ancora troppo sommerso e spesso relegato al ruolo della “staffetta”, descritta quasi sempre in modo romantico e limitandone l’azione al mero trasporto clandestino di documenti o istruzioni. In realtà le donne hanno combattuto e subito le stesse violenze (con l’aggravante dello stupro nella maggior parte dei casi) degli uomini. Per le partigiane la lotta alla liberazione del proprio paese dalla tirannia nazi-fascista è stata, invece, l’occasione per affermare i propri diritti auspicando un ruolo diverso della donna nella società. E sembrava fosse davvero arrivato il momento: le italiane si sentirono finalmente alla pari dei propri compagni, i quali, d’altro canto, ne riconobbero il valore e il coraggio. Il coinvolgimento del genere femminile alla Resistenza, invece, fu consistente. Secondo i dati diffusi dall’ANPI, infatti, viene fuori questo spettro:
• 70000 donne organizzate nei Gruppi di difesa della donna
• 35000 partigiane, che operavano come combattenti
• 20000 donne con funzioni di supporto (le cosiddette staffette)
• 4563 arrestate torturate e condannate dai tribunali fascisti
• 2900 giustiziate o uccise in combattimento
• 2750 deportate in Germania nei lager nazisti
• 1700 ferite
• 623 fucilate e cadute
• 512 commissarie di guerra
Le donne sposarono la causa della Resistenza per varie ragioni: per ideali politici, per aiutare parenti o amici che avevano abbracciato le armi, per contribuire al ritorno della giustizia.
C’erano operaie, contadine o donne borghesi. Furono attive su più fronti e con ruoli diversi, ad esempio nei paesi di montagna vi era un’alta percentuale di staffette. Le donne di città, invece, prendevano parte per lo più alla Resistenza politica e civile ed entrarono a far parte dei GAP (gruppi di azione patriottica) e delle SAP (squadre di azione patriottica).
Organizzavano scioperi e manifestazioni contro il fascismo nelle fabbriche dove lavoravano al posto degli uomini andati in guerra o che si erano uniti ai partigiani. Furono creati i Gruppi di difesa della donna, i quali si occuparono di garantire i diritti delle donne e dei loro bambini e organizzavano la raccolta di indumenti, medicinali e informazioni, che venivano fatti recapitare alle staffette per poi portarle ai partigiani. Queste ultime, infatti, avevano il compito di tenere i contatti fra le diverse brigate o con le famiglie dei combattenti. A volte la staffetta reclutava anche nuovi potenziali resistenti e all’interno della brigata faceva da infermiera ai feriti, tenendo anche i contatti con il medico o con il farmacista, dai quali si faceva dare le medicine necessarie. Di norma non erano armate, per evitare di essere identificate e arrestate nel corso di un’eventuale perquisizione e per tale motivo si vestivano in modo comune, fornite spesso di una borsa con il doppio fondo per poter nascondere il materiale che portavano con sé. Inoltre, nelle campagne e nei luoghi più accessibili ai partigiani, le donne misero spesso a disposizione le proprie case per fornire un
nascondiglio o garantire un pasto caldo. Le partigiane che abbracciarono le armi, come Carla Capponi vice comandante di una formazione operante a Roma, invasero un mondo prettamente maschile. Nelle formazioni nei primi tempi vi furono delle contestazioni da parte di alcuni partigiani, contro la presenza femminile, ma alla fine anche i più scettici dovettero ricredersi. Le donne combattevano al fianco degli uomini, nelle montagne, al freddo, in alcuni casi si dedicavano a delle vere e proprie azioni di sabotaggio militare, mettendo a rischio la loro vita o addirittura perdendola. Come sempre accade in periodi di guerra questo cambiamento della condizione femminile fu solamente temporaneo e l’emancipazione che ne derivò fu abbastanza limitata: la nuova Repubblica, malgrado la concessione del diritto al voto e della partecipazione alla vita politica, continuò a mantenere leggi e tradizioni codificate sotto il regime fascista, relegando di nuovo la popolazione femminile ad un ruolo subalterno.

 

 

 

In seguito, con l’aiuto della nostra ospite in studio Delfina Donnici; abbiamo presentato “Jin Jiyan Azadi. La rivoluzione delle donne in Kurdistan” – Istituto Andrea Wolf – Tamu, 2022. Delfina Donnici fa parte del comitato italiano di Jineolojî che ha curato la traduzione del libro. Da quando in anni recenti si sono accesi i riflettori sulla resistenza contro l’assedio dello Stato Islamico in Rojava, il movimento delle donne libere curde è diventato a livello globale uno degli esempi rivoluzionari più luminosi del 21° secolo. Jin, Jiyan, Azadî raccoglie le voci di venti rivoluzionarie curde e le compone in un’architettura maestosa: le combattenti ci offrono attraverso memorie private, lettere e pagine di diario una profonda riflessione su un percorso che non inizia con la riconquista di Kobane del 2015 ma ha radici ben più lontane. Ripercorrendo varie fasi della lotta di liberazione curda contro l’oppressione dello stato turco, questo volume offre una avvincente e monumentale ricostruzione della storia recente del Kurdistan, dalla costituzione del Pkk all’arresto di Öcalan, fino all’elaborazione dei nuovi paradigmi del confederalismo democratico e di Jineolojî, la scienza delle donne. Per la prima volta scopriamo dalla prospettiva delle protagoniste la visione del mondo e le scelte di vita che le hanno portate alla guida di una guerra di liberazione, oltre che di un epocale progetto di trasformazione dei rapporti tra donne e uomini, tra nazioni e tra specie viventi. Essendo il testo molto interessante e pregno di contenuti abbiamo voluto fare un’intervista divisa in 3 parti, divise tra loro da due brani (qui nel podcast riprodotte parzialmente), tratti dalla compilation “Music for Rojava” edito dall’etichetta Sonic Resistance.

Buon ascolto

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Infine, con l’aiuto della presidente di una piccola associazione pro-Palestina di Genova che si chiama New Weapons Research Group, che si occupa principalmente degli effetti sui civili di Gaza dell’uso di armi da parte dell’esercito israeliano (il sito è http://we4gaza.org/) abbiamo raccontato la resistenza delle donne palestinesi. La presidente Paola Manduca è una genetista in pensione dell’Università di Genova che, fino a poco tempo fà, si recava regolarmente a Gaza per studiare gli effetti dei bombardamenti soprattutto su madri e neonati. Le donne nella Striscia di Gaza hanno vissuto sulla loro pelle l’Inverno Caldo del 2008 e mantengono vividi nella memoria i ricordi delle ignobili operazioni militari israeliane susseguitesi negli anni, da Operazione Piombo Fuso a Operazione Margine di Protezione, sino agli ultimi attacchi di maggio 2021. Combattono per la liberazione della mente, del corpo e della Terra nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. Resistono da quando sono nate ad una violenta dominazione che coinvolge ogni ambito della loro vita; al contempo continuano a battersi affinché all’interno di questa striscia di terra lunga poco più di 40 km vi siano le condizioni necessarie per una vita libera dalla cultura e dalla realtà patriarcale, estremamente violenta. Un numero ancora troppo elevato di donne a Gaza subisce la fitta struttura di equilibri e leggi tradizionali che ne limita drasticamente la libertà. Le donne a Gaza lottano da sempre per i propri diritti, per la loro emancipazione, autodeterminazione e indipendenza economica. Fronteggiano la violenza di genere creando reti di supporto psicologico e legale per le donne con situazioni familiari difficili; Lottano come giovani universitarie per il diritto allo studio per tutti e tutte, per una rappresentanza studentesca che sia anche femminile, per un welfare accademico degno ed accessibile; Lottano come infermiere e dottoresse per una sanità il più possibile a disposizione delle donne di Gaza, nonostante i limiti inimmaginabili causati da decenni di assedio, totale chiusura della Striscia di Gaza. Combattono in prima linea, curano i feriti, sostengono i percorsi psicologici necessari per affrontare i traumi di guerra e le sindromi da stress post traumatico che dilagano nella popolazione adulta, così come nei bambini. Sono la Resistenza attiva della Palestina. Il blocco e l’isolamento subito dalla popolazione impedisce al mondo di sapere cosa succede “tra le mura di Gaza”. Spetta a noi, che oggi ne abbiamo la possibilità, rompere questo isolamento.

Buon ascolto

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Radio Blackout 105.25

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