“I polli preferiscono le gabbie”, ovvero come giustificare (scientificamente) l’oppressione

 

Nell’agosto 2016 una denuncia contro due lavoratori dell’azienda Amadori viene presentata da parte di Enpa ed Animal Equality, in seguito alla messa in onda televisiva di immagini, provenienti da alcune investigazioni, in cui venivano rese evidenti le crudeli condizioni in cui versano gli animali d’allevamento intensivo di tutto il mondo. Ora, a febbraio 2020, il tribunale ha condannato a 3 mesi di reclusione e 22.500 euro il rappresentante legale di una società controllata da Amadori e al pagamento di 1600 euro il custode dell’allevamento in questione per i reati di “uccisione, maltrattamento e abbandono di animali”.

E’ una notizia che sicuramente viene celebrata dalle associazioni animaliste come una vittoria, eppure lascia qualche perplessità nella mente di chi nella liberazione animale vede qualcosa di più di una vendetta giuridica. Se liberazione animale significa liberazione totale, è chiaro che gli strumenti utilizzati per raggiungerla non potranno essere tribunali, magistrati, galere e tutti gli altri apparati di repressione che quotidianamente vengono usati contro gli sfruttati e ribelli di ogni genere. Inoltre, come non trovare ridicola una singola condanna per uccisione, maltrattamento ed abbandono nei confronti di un’azienda che ogni giorno incatena, maltratta ed uccide un numero spropositato di animali? Non è esattamente questo il lavoro che svolge quotidianamente per portare sulle nostre tavole i suoi “prodotti alimentari”? L’ipocrisia del sistema industriale e di chi lo legittima (Stato, leggi, giudici…) è in questo caso palese, ma tanto basta per far esultare le associazioni animaliste.

Di questa notizia ci siamo serviti per parlare più in generale della condizione di sfruttamento dei polli, che sono tra gli animali più sfruttati e uccisi al mondo, tanto che ne vengono macellati oltre 500 milioni all’anno solo in Italia. Un vero e proprio sterminio, che è solo il culmine di un esistenza trascorsa sotto tortura, prigionia, condizioni igieniche pessime e psicologiche ancora peggiori. Eppure c’è chi, come la rivista professionale La France Agricole riesce ad affermare che “dopo lunghi anni di studi relativamente sofisticati” su diversi polli d’allevamento, alcuni scienziati hanno osservato che chi tra questi animali si trovasse in condizione di semi-libertà manifestava verso gli altri suoi simili dei comportamenti aggressivi molto più violenti di quelli manifestati dai soggetti mantenuti in prigionia, che tendevano piuttosto ad un moderato e più accettabile autolesionismo. La conclusione di questo esperimento è stato insomma far intendere che “i polli preferiscono le gabbie”.

E’ questo il titolo dell’articolo apparso su https://finimondo.org/node/2434 da cui abbiamo tratto alcune riflessioni. Prima di tutto evidenziamo che ancora una volta in nome di una pretesa oggettività scientifica si punta a screditare tutto ciò che potremmo definire empatia o conoscenza intuitiva di cui continuamente facciamo esperienza nella nostra vita. Si tratta di quella conoscenza “di pancia” che, ad esempio, nel vedere un animale rinchiuso in gabbia una vita intera, senza poter vedere la luce del sole né camminare sull’erba o soddisfare autonomamente alcun tipo di proprio desiderio, ci fa intendere che quell’animale sta soffrendo, senza aver bisogno che ce lo confermi l’etologo di turno.

Inoltre se “i polli preferiscono le gabbie”, nulla vieta di estendere per analogia il ragionamento a tutte le altre categorie oppresse, in modo da poter giustificare lo stato di assoggettamento in cui sono confinate. Come dice l’articolo: “con un po’ di applicazione, si potrebbe provare altrettanto facilmente che le otarie preferiscono i circhi […], gli indiani preferiscono vivere nelle riserve, che gli ebrei o gli zingari preferiscono i campi di concentramento, che i neri preferiscono viaggiare nella stiva delle navi, con i ferri alle caviglie e la palla al collo”.

Non è una novità che la ricerca scientifica, spesso prontamente finanziata da chi ha degli interessi nei risultati ricercati, sia uno strumento in mano del potere per giustificare l’oppressione e lo sfruttamento della società mortifera in cui viviamo, ancora più utile quando, ad esempio, per giustificare lo Stato e le sue leggi, ci riempie la testa di “verità” su come senza queste strutture l’essere umano non sarebbe capace di vivere e di relazionarsi. Come i polli preferiscono le gabbie, l’uomo preferisce le proprie catene perché lo proteggono da una vita di barbarie che deriverebbe da una maggiore (o totale) libertà.

Un studio simile a quello sui polli è stato condotto sui delfini condannati a vivere negli acquari e nei parchi acquatici: si è arrivati a sostenere (sempre da parte di rispettosi scienziati) che questi animali provano un maggior benessere quando in queste galere acquatiche si trovano a contatto con l’uomo. Insomma, non c’è bisogno di arrivare a pensare a fare a meno di questi luoghi e di lasciare che i delfini conducano un’esistenza libera in natura, per farli star bene basta dar loro una palla gonfiabile ed un addestratore…!

Ascolta l’approfondimento qui:




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