Macerie su Macerie – 18 novembre 2019. Le smanie degli artisti di Cavallerizza VS la resistenza dei riders
Non fu un caso che dopo pochi anni che la Cavallerizza passò dalla proprietà demaniale a quella del Comune e della Cassa Depositi e Prestiti, gli abitanti d’allora delle case popolari al suo interno vennero sgomberati, nonostante il loro tentativo di resistenza, nonostante gli striscioni appesi dalle finestre in via Verdi. Allora, nel 2012, ai tanti sembrò normale che in centro, in una struttura regale, non ci dovessero più stare i poveracci, normale almeno quanto il fatto che due anni dopo venisse occupata dagli artisti, che da sempre si sono ben guardati dal raccontare di questa cacciata, perché alla retorica degli “edifici vuoti non valorizzati” non s’abbina granché.
A questi colorati figuri è sempre piaciuto maggiormente il discorso degli spazi per la cultura, sul patrimonio Unesco e sull’uso civico dei beni comuni: come si debba colmare a livello di regolamentazione questa economia dei creativi, che crea valorizzazione per il capitale urbano ma che appunto non è ancora riconosciuta in forme giuridiche e politiche. In sintesi da anni le parole dei creativi sabaudi all’amministrazione sono: “noi siamo in grado con fluidità e autogestione di creare valore e attenzione verso alcuni spazi in una maniera in cui la vostra rigida burocrazia non riesce più, rinegoziamo insieme come gestire questa grande occasione per la città”.
Dunque c’è veramente poco di cui stupirsi se ora che un incendio doloso ha reso inagibile parte del complesso, gli artisti della Cavallerizza stiano gestendo il proprio sgombero insieme alle autorità cittadine da cui da anni cercano la propria legittimazione, un riconoscimento istituzionale del tanto lavoro pionieristico nel trasformare lo spazio urbano nel nuovo retroterra dell’economia della cultura. Che i signorini abbiano creduto e ancora ne mantengono la convinzione di essere una sorta di rivoluzionari di questi tempi stronzi, e di salvare un complesso imponente nel centro di Torino dalla sua vendita e messa a profitto, non è che il sintomo di come la questione della riconversione economica della città venga posta da costoro e dai loro amici in maniera tanto fittizia quanto illusoria. Infatti il trasformare lo spazio urbano in attraente, anche attraverso pratiche e luoghi non ancora irregimentati da forme giuridiche o di riconoscimento, si inserisce nella tendenza attuale a ripulire pezzi di città, sia nell’immaginario che di fatto con la mano dura della repressione, dalle istanze di marginalità e conflitto di una sempre maggiore fascia di popolazione. Senza paura di iperboli si può affermare che i laboratori di teatro dal basso, di danze dal mondo o di pittura muraria che oggi si promuovono in certi “luoghi alternativi” nelle metropoli di tutto il mondo siano l’accompagnamento soft alle politiche di guerra che vengono portate avanti contro la popolazione indigente, dai senza-tetto a tutti coloro ai quali vengono sottratti anche i servizi minimi come la sanità. Perché se tutta questa creatività non si pone certo l’obiettivo del conflitto contro questa guerra endemica, si deve dire chiaramente che invece è atta a costruire le reti che sorreggono una nuova classe media transnazionale, portatrice di un capitale simbolico, tra il sociale e il culturale, che rende vivibile e desiderabile la vita in alcune parti della città e per alcuni soggetti, a discapito della miseria tutt’attorno.
Dopo masterplan e codici di autogoverno, la sorte e la retorica dell’emergenza seguita all’incendio ha imposto un nuovo livello di cogestione dell’esistente tra artisti e amministrazione comunale con addirittura uno sgombero concertato.
A mettere il bastone tra le ruote in quest’armonia gestionale però c’è l’esperienza di Casa Riders, disposta a resistere alle decisioni di politicanti colorati e di quelli sugli scranni.
A Macerie su Macerie due parole sulla Cavallerizza e una diretta telefonica sulla resistenza dei riders: