Piante selvatiche e vagabonde: rinegoziare le relazioni con il mondo vegetale
liberation front
L’approccio attuale alla gestione degli spazi verdi urbani si fonda sul disciplinamento del selvatico o la sua eliminazione, allo scopo di creare luoghi adatti all’attraversamento e all’intrattenimento umano, nonchè alla sua percezione idealizzata dell’ordine naturale. L’esperienza del collettivo “Franchetta Borelli”, nata intorno al Parco Michelotti in occasione della sua riqualificazione da parte dell’amministrazione, tenta di elaborare una narrazione diversa del selvatico urbano, slegandolo dal ruolo di perturbatore della realtà cittadina; o meglio, individuando proprio in questa perturbazione la chiave per un nuovo rapporto con il selvatico. A questo proposito nasce la plantzine “Le Sabotatrici dell’Ordine”: attraverso la classificazione delle numerosissime specie vegetali incontrate durante le esplorazioni del parco nel suo periodo di abbandono, e con l’elaborazione di riflessioni riguardo al rapporto tra l’umano e il selvatico, questo lavoro rimane volutamente incompiuto, augurandosi di avere un seguito nella lettura, nelle riflessioni e nelle pratiche di chi vi si imbatte.
Link alla plantzine: https://sabotatricidellord.wixsite.com/website
Qui invece l’audio completo della presentazione della plantzine:
Il selvatico è anche “vagabondo”: la migrazione di specie (non solo) vegetali accompagna quella della specie umana fin dai tempi più antichi. “Transported Landscape” – saggio scritto da Emanuela Borgnino e contenuto nel libro “L’Europa d’Oltremare” a cura di Adriano Favole – si occupa proprio del complesso intreccio di relazioni che determina le configurazioni vegetali nel globo. L’interazione con l’elemento umano causa spesso storie di migrazioni vegetali “epiche” e sorprendenti: ne risultano paesaggi insoliti, immaginifici e ben lontani dall’ideale di natura vergine e “originaria”. I luoghi sono sempre costruzioni derivanti dalle circostanze (geologiche, atmosferiche, biologiche, umane): spazi e tempi di scale diverse si intrecciano e le piante, a saperle osservare e interpretare, sono testimoni silenziose di queste trasformazioni. Prendere coscienza del ruolo che, in quanto umani, esercitiamo nella configurazione della vita sulla terra è fondamentale per ripensare criticamente il nostro rapporto con il non-umano; e un valido principio-guida, in questo processo, potrebbe consistere nel tornare a negoziare con l’ambiente, un approccio tradizionale contenuto nell”etica ecologica” di molte popolazioni native.
Qui si può ascoltare l’audio dell’intervista a Emanuela Borgnino:
Eppure, l’approccio delle società industriali al pluralismo vegetale e al selvatico è storicamente stato accentratore, persecutorio e utilitaristico: alcune piante sono risorse, altre sono nemiche, e vanno quindi eliminate. I criteri di selezione sono sempre, chiaramente, umani: l’antropocentrismo raggiunge, nella degenerazione razionalistica della modernità, caratteri “fitofobici”. Ed ecco che la paura per il selvatico – per le piante sconosciute, per il senso di “degrado” che queste suscitano negli ordinati ambienti umani a causa del loro comportamento imprevedibile – ispira la gestione della vegetazione da parte delle società odierne, rese cieche e sorde ai richiami e alle istanze di relazione del mondo non-umano. Qualche spunto a questo proposito viene dato nel libro di Gilles Clément, “Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo”, di cui discutiamo qui: