VIOLENZA SANITARIA: MARCO BONDAVALLI – CIRCUITO DELLA VIOLENZA: TORTURA, PESTAGGI E SUICIDI

Estratti dalla puntata del 25 marzo 2024 di Bello Come Una Prigione Che Brucia

 

VIOLENZA SANITARIA: LA STORIA DI MARCO BONDAVALLI

Negli ultimi mesi, grazie al contributo dello Sportello di Supporto Psicologico per i famigliari delle persone uccise dal carcere e alle testimonianze della sorella, abbiamo in più occasioni raccontato la situazione di sofferenza e di rischio per la propria sopravvivenza a cui è stato costretto Marco Leandro Bondavalli.

Attualmente trasferito in ricovero ospedaliero (art. 11 OP), Marco ha scelto di prendere parola e di raccontarci la dimensione di violenza sanitaria che può assumere la detenzione:

 

 

TORTURA, PESTAGGI E SUICIDI

Il carcere è un “circuito della violenza”: quella della cattura, quella sanitaria, quella muscolare delle squadrette punitive, quella dei suicidi.

Da Foggia arriva la notizia di una nuova inchiesta sulle torture in carcere, con tanto di filmato, che ci restituisce la normalità dei pestaggi, il clima di totale “connivenza di corpo” che li consente, le pressioni operate sulle vittime, ma indirettamente anche la condizione di assuefazione verso cui ci sta conducendo – negli ultimi anni – la sequenza di esposizioni visive alla certificata brutalità della Polizia Penitenziaria.

A Bologna, una donna di 55 anni si è suicidata inalando gas durante la visita del cardinale Zuppi (presidente della CEI), lasciando un ultimo messaggio che non uscirà – probabilmente – mai dalle mura della censura che tutela l’apparato punitivo.

 

La violenza in carcere assume forme diverse a seconda di come si incanala: è certamente quella strutturale (della cattura, della sottomissione, della depressione scientifica, dell’abbandono sanitario, ecc.), è molto evidentemente quella muscolare dei pestaggi, ma anche i suicidi possono essere identificati come un indirizzamento della violenza verso di sé. A questo proposito leggiamo un contributo di Salvatore Ricciardi:

 

Da Contromaelstrom:

Negli anni dal 1960 al 1969 la presenza media nelle carceri era di 32.754 detenuti, i suicidi sono stati 100 e i tentativi di suicidio 302, pari a un tasso rispettivamente di 3,01 e 9,24 su 10.000. (media: 10 l’anno)

Negli anni dal 2000 al 2009 la presenza media è stata di 58.000 detenuti, i suicidi sono stati 736 e i tentativi di suicidio oltre 8.000, pari a un tasso rispettivamente di 10,32 e 142,94 su 10.000. (media: 56,6 suicidi l’anno). Le morti in generale sono circa 160 morti in generale l’anno. E sono in crescita!

Perché questa impennata verso l’alto dei suicidi? Lo spartiacque avviene nel 1986. Prima di allora la rabbia dei detenuti scagliava la violenza prodotta dalla carcerazione contro le cose della prigione: rivolte e distruzioni di suppellettili e mura; e contro i carcerieri: sequestro di guardie, scontro con le stesse.    Dopo il 1986, la rabbia dei detenuti, e la conseguente violenza, è stata indirizzata altrove: suicidi, tentati suicidi e atti di autolesionismo: oltre 10.000 l’anno.

Il punto di vista dei media e dell’opinione pubblica benpensante è entusiasta: sono cessate le rivolte, il carcere è stato “pacificato”. I corpi dei detenuti ne risultano massacrati, ma questo all’opinione pubblica non interessa granché!

Cosa ha fatto cambiare direzione all’espressione della rabbia dei prigionieri? È stata l’introduzione del carcere “premiale”. Prima il carcere erogava solo violenza e ne riceveva dai carcerati altrettanta. Ora il carcere eroga ancora tanta violenza ma anche premi, in cambio pretende che il carcerato rispetti il carcere e i carcerieri altrimenti perde i premi (permessi, sconti di pena, misure alternative, ecc.). Il prigioniero è così “costretto” a indirizzare la violenza, che ha maturato dentro, verso se stesso.

Il benpensante dirà: il sistema premiale ha tolto la violenza dal carcere (ha messo fine alle rivolte), se fosse sincero dovrebbe riconoscere che il sistema premiale ha semplicemente indirizzato altrove la violenza del prigioniero: verso il proprio corpo.

I dati, osservati onestamente, ci dicono che, in termini di costi umani, la quantità di violenza è molto aumentata nelle carceri, ma si vede di meno!

Per questo affermiamo che il carcere non è riformabile!




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