Foggia antirazzista, antisessista e antifascista

Scritto dasu 21 Marzo 2018

 

 

 

 

Dopo le sparatorie di Macerata e Firenze, c’è ancora chi discute se l’Italia sia o meno un paese razzista. Peccato che il razzismo faccia parte della storia italiana fin dalla nascita dello Stato nazione, come una linea nera che attraversa la questione meridionale, le conquiste e i massacri coloniali, l’antisemitismo e la discriminazione contro i e le rom. E a partire dagli anni 80 colpisce senza sosta le persone migranti (dall’Africa ma anche dall’Asia e dall’Europa dell’est) con omicidi, violenze di ogni sorta, rappresaglie. Perdipiù, come anche i fatti di Macerata hanno dimostrato, il razzismo è sempre anche una questione di sessismo. Non solo le donne migranti, in quanto donne, subiscono una doppia violenza. L’odio razzista si fonda su una concezione delle donne come vittime passive, da proteggere e controllare in quanto emblemi e matrici della nazione o della razza, da un lato – o, se straniere o ribelli, come oggetti di brutalità e consumo usa e getta, dall’altra.

La lotta dei lavoratori e delle lavoratrici migranti delle campagne, in Puglia come in Calabria e altrove, non diversamente dalle storie dei e delle migranti più in generale, racconta però un altro aspetto del razzismo. Quello degli spari e delle percosse non è che la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più profondo e strutturale: le politiche migratorie e quelle sull’asilo che negano, limitano e tolgono in qualsiasi momento l’accesso alla casa, al lavoro, ai documenti e ai servizi; la discriminazione e la destinazione ai lavori più precari, pericolosi e malpagati, i ghetti e i campi di lavoro, i centri di espulsione e di accoglienza. Tutto questo è razzismo, anche se legale e democratico.

Non si tratta quindi di episodi sporadici né delle “gesta di un folle”: è qualcosa che succede quotidianamente e dappertutto, nell’ infantilizzazione e criminalizzazione delle persone richiedenti asilo, negli sfratti e nelle espulsioni, così come nello sfruttamento estremo che sta alla base della filiera agro-industriale. E non è neppure un problema di semplice ignoranza da risolvere con l’educazione alla diversità e le cene interetniche: è una faccenda di potere e di profitto, che riguarda tutte e tutti. I fatti delle ultime settimane, dagli attacchi fascisti e razzisti alla repressione brutale dello stato e alle dichiarazioni di chi ha raccolto voti fomentando l’odio e la violenza, dimostrano quanto sia urgente una riflessione molto più ampia sulle origini e le pratiche del razzismo e del sessismo in Italia, dalle istituzioni alle strade, contro cui ci si deve organizzare in maniera compatta. E soprattutto dimostrano come razzismo e sessismo siano uno strumento indispensabile sia per mantenere saldo il controllo dello stato sui cittadini, attraverso misure di sicurezza sempre più serrate e repressione, che per salvaguardare gli interessi del capitale che sullo sfruttamento dei lavoratori basa il suo profitto.

Lottare contro tutto ciò non è facile. Come Rete Campagne in lotta, crediamo che sia indispensabile partire dalle lotte reali delle persone che subiscono il razzismo, sostenere le loro pratiche di autorganizzazione e metterle in comunicazione le une con le altre. Soprattutto oggi, quando “l’antirazzismo democratico” della sinistra istituzionale e associativa mostra tutta la sua ambiguità e inutilità, o peggio ancora cerca di bloccare le rivolte perché cominciano a mettere a rischio i loro privilegi, come abbiamo visto a Firenze e come vediamo da anni nelle campagne del sud con la finta “lotta al caporalato” e la vittimizzazione dei lavoratori in funzione di pratiche assistenzialiste e neo-colonialiste messe in atto da sindacati e associazioni.
Una linea, speriamo, si sta forse tracciando: da una parte, questi individui che si svegliano una volta all’anno quando ci scappa il morto, e chiedono pieni di indignazione non di abbattere ma di riformare e perfezionare l’accoglienza “degna”, le prigioni per migranti, o al massimo di sistemare un po’ la legge sulla cittadinanza o quella sul caporalato. Dall’altra parte ci sta chi crede che combattere contro il razzismo significa combattere contro le frontiere e lo sfruttamento, per le case e i documenti per tutte e tutti.

I lavoratori e le lavoratrici delle campagne lottano tutti i giorni per sopravvivere e per inceppare questi meccanismi di discriminazione, malgrado le condizioni terrificanti in cui sono costretti-e a vivere. Continuano ad organizzarsi e a ribellarsi nonostante abitino in container, tende, baracche o in centri sotto stretta sorveglianza, spesso senza acqua corrente né elettricità, senza documenti e subendo gli abusi costanti della polizia, lavorando fino allo stremo per un pugno di euro. Contano anche loro le vittime della violenza razzista, di cui però nessuno parla. Sare Mamoudou, ammazzato per il furto di un melone a Foggia il 22 settembre 2015; Sekine Traoré, ucciso per mano di un carabiniere l’8 giugno 2016 alla tendopoli di San Ferdinando ; Mamadou Konate e Nouhou Doumbia, morti il 3 marzo 2017 nell’incendio del Ghetto di Rignano sotto sgombero; Becky Moses, anche lei morta in un incendio, a San Ferdinando, il 20 gennaio 2018. La lista è tragicamente lunga, perché si muore tutti i giorni sulle strade, sul lavoro, nei ghetti – e anche queste morti sono frutto del razzismo, quello istituzionale.

Questi lavoratori e lavoratrici hanno organizzato per lunedì 19 marzo una manifestazione a Foggia, per rivendicare ancora una volta: documenti, un lavoro regolare e una casa. E scenderanno in piazza anche con l’intenzione di raccontare la loro verità e produrre una narrazione diversa da quella che i media danno degli immigrati in Italia. Nè criminali nè vittime, i lavoratori e lavoratrici delle campagne sono compagni e compagne che lottano anche per noi e che dobbiamo sostenere.

Contro questo razzismo strutturale che divide e che uccide, oggi più che mai, utilizziamo l’arma della solidarietà, sosteniamo i percorsi di autorganizzazione, schieriamoci dalla parte delle rivolte che nascono ogni giorno.

Vi aspettiamo a Foggia, dove porteremo la voce di ogni piazza in cui ci si sta organizzando contro fascismo, sessismo e razzismo.

 

foggia

Resoconto del corteo:

Il corteo si è mosso dalla stazione ed è stato marcato da continui interventi e dal protagonismo di chi, in campagna, vive e lavora in condizioni di grave precarietà e sfruttamento. I/le migranti presenti, e in particolare una agguerrita componente di donne, hanno voluto comunicare alla cittadinanza foggiana che la loro lotta è una lotta di tutti e tutte, che solo unendosi e sostenendo chi combatte per condizioni di vita migliori si potranno cambiare i rapporti di forza ed avere la meglio su chi si arricchisce sulla vita delle persone. I problemi dovuti alla mancanza di casa, di lavoro, alle condizioni ormai diffuse di povertà sono spesso comuni a italiani e immigrati: è necessario quindi uno sforzo comune per riconoscere che il vero nemico sono le istituzioni e il sistema capitalistico che sfrutta e mantiene nell’illegalità. L’intento è stato quello di rovesciare la narrazione dominante del razzismo istituzionale che sempre più spinge a credere che gli immigrati siano il problema e i responsabili di un momento di difficoltà per tutti e tutte. Non sono mancate alcune reazioni positive e di sostegno da parte dei passanti, a dimostrazione del fatto che una genuina pratica antirazzista non può che passare dalla presa di parola diretta di chi il razzismo lo subisce tutti i giorni nei campi, nelle questure, nei centri di accoglienza e nelle strade di tutto il paese.

Il corteo ha raggiunto la prefettura dove siamo riuscite/i a strappare un tavolo con il commissario straordinario nominato dal governo, il prefetto, il capo dell’ufficio immigrazione e la vice questore, e la presidente della commissione territoriale per l’asilo. Riguardo ai documenti è stata riconfermata apertura e disponibilità nel proseguire il processo di regolarizzazione, anche se questo accordo è stato spesso disatteso, vedremo cosa succede.

Alla limitatezza delle promesse si è aggiunta l’incapacità e la mancanza di volontà di agire sui problemi strutturali; la “soluzione magica” che i rappresentanti del governo propongono è quella delle tendopoli e dei campi di lavoro stile Rosarno, secondo una logica militare-umanitaria che, oltre ad essere di per sé una soluzione disumanizzante, ha fallito ovunque sia stata già sperimentata. Oltre a questo, non è stata persa l’occasione per presentare la nuova Rete del lavoro agricolo di qualità, remake di trovate molto simili delle precedenti amministrazioni regionali puntualmente fallite, presentate come soluzioni alla piaga del caporalato e che passano per la logica della premialità alle aziende virtuose, dimostrandosi perdenti e miopi in partenza. Come i lavoratori e le lavoratrici sanno bene, per spezzare l’intera catena dello sfruttamento, che parte dalla GDO e finisce nei campi, non bastano specchietti per le allodole che assicurano soltanto visibilità politica a chi le propone, ma sono necessari documenti e contratti di lavoro regolari, che garantiscano la libertà di circolazione e di autodeterminazione della propria vita, e la possibilità di lavorare senza subire il ricatto dello sfruttamento.

Non possiamo che continuare a rivendicare con forza documenti per tutte e tutti, contratti, trasporti e case normali. Sappiamo che c’è ancora tanto da fare di fronte alla crudeltà e all’ipocrisia delle istituzioni! Le nostre richieste sono chiare, l’unica strada è l’autorganizzione, continueremo a lottare!

We need yes!


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