Il Bangladesh e lo sfruttamento della manodopera tessile
Scritto dainfosu 4 Luglio 2016
All’indomani dell’attacco jihadista in un ristorante del quartiere diplomatico di Dacca, ove si trovavano tra gli altri diversi italiani impegnati nell’imprenditoria tessile, questa mattina abbiamo sentito Deborah Lucchetti, nata a Torino, ex-operaia metalmeccanica e sindacalista, che si occupa di lavoro, diritti umani, globalizzazione e economie solidali. È coordinatrice della Campagna Abiti Puliti (www.abitipuliti.org), sezione italiana della Clean Clothes Campaign, coalizione internazionale che da decenni promuove i diritti del lavoro nell’industria tessile globale, ed è stata diverse volte in Bangladesh.
In Bangladesh milioni di lavoratori sono impiegati nelle manifatture tessili, con salari bassissimi e condizioni di lavoro pessime. Germania, Gran Bretagna, Spagna, Italia sono tra i paesi europei di cui un maggior numero di industrie tessili e di abbigliamento operano in questo paese. Dopo la strage del Rana Plaza, edificio di nove piani crollato il 24 aprile 2013 causando la morte di oltre 1100 lavoratrici e lavoratori, in larga parte donne, molte multinazionali hanno sottoscritto degli accordi per migliorare le condizioni di lavoro, ma non li applicano concretamente.
E’ quindi molto importante la pressione di associazioni e altre realtà solidali in collaborazione con i sindacati bengalesi, per migliorare la situazione del popolo; in caso contrario è facile che il radicalismo islamico diventi la via privilegiata di ribellione contro gli odiati sfruttatori “occidentali”, coinvolgendo anche appartenenti alla borghesia locale come è il caso del commando autore dell’attacco del 2 luglio.
Ascolta l’intervista: