Solidarietà senza frontiere – gruppo di mutuo appoggio
Scritto dainfosu 7 Aprile 2020
Si stanno moltiplicando le iniziative per affrontare l’epidemia, creando legami solidali tra da sempre fatica ad arrivare a fine mese, chi ha perso il lavoro, chi non l’aveva nemmeno prima, chi non riesce a procurarsi le protezioni, chi è costretto a lavorare rischiando di infettarsi, chi esce e prende una multa perché passeggia lontano da casa.
Alcuni gruppi si pongono l’obiettivo non secondario di realizzare esperienze di mutuo appoggio, fondate sulla reciprocità.
A Torino è ai blocchi di partenza il gruppo di mutuo appoggio Solidarietà senza frontiere.
Ce ne ha parlato Stefano, tra i promotori dell’iniziativa
Ascolta la diretta:
Di seguito il testo di presentazione dell’iniziativa che su Facebook trovate sulla pagina Senza Frontiere:
“Solidarietà senza frontiere – Gruppo di mutuo appoggio
Questo gruppo è stato pensato dai compagni e dalle compagne della Federazione Anarchica Torinese, ma è aperto a chiunque ne condivida obiettivi e pratiche.
Cosa vorremmo fare?
Creare ponti che non lascino da soli i più deboli, che consentano di costruire solide reti di mutuo appoggio.
Ci vogliono isolati, divisi, diffidenti, impediamo il diffondersi della psicopolizia, dimostriamo che sopravvivere all’epidemia dipende anche dalla nostra capacità di organizzarci, lottare, darci reciproco sostegno.
Ti serve una mascherina? Non sai, non vuoi, non puoi ordinarla in internet? Cerca qualcuno che viva vicino a te e possa aiutarti.
Sei solo, debole e non riesci a fare la spesa? Segnalalo qui: potresti trovare chi ti darà una mano e qualcun altro cui potresti essere utile a tua volta.
Hai preso la multa? Vuoi sapere come fare ricorso? Segnalalo e troverai chi ti darà le indicazioni giuste
Sei sotto ricatto sul lavoro? Temi di perdere il posto se protesti perché non ti senti sicuro in fabbrica, in officina, in ospedale? Organizzati con i tuoi compagni di lavoro e segnala in lista la vostra lotta. Se i media tacciono, se gli imprenditori minacciano, far sapere cosa succede serve perché altri possano muoversi in solidarietà, perché il silenzio non faciliti la repressione.
Tanta gente ha la febbre ma è chiusa in casa senza tamponi né visite mediche. Molti hanno paura per se e per chi vive con loro. Proviamo a fare pressione collettiva per modificare la situazione. Una singola goccia si perde nel mare. Tante gocce possono scatenare una tempesta.
Di fronte all’epidemia è facile sentirsi deboli e incapaci di reagire. Specie se non siamo più tanto giovani, forti, se temiamo per i nostri cari, per le persone a cui vogliamo bene.
La realtà è durissima. Nel cuore del primo mondo, nel centro dell’area più ricca del paese, la gente si ammala e muore senza cure adeguate. Ci raccontano di aver fatto meraviglie, ma la verità la raccontano i medici di base che non riescono a far ricoverare nemmeno chi è in condizioni disperate. Tutti sappiamo come stanno le cose. In tante case c’è gente malata, che riceve indicazioni per telefono, senza ossigeno, tamponi, saturimetri: chi vive con i malati rischia di ammalarsi e diffondere il contagio.
Dicono che tutto andrà bene, ma ogni giorno muoiono centinaia e centinaia di persone. Di alcune neppure si sa: sono morti in casa, senza che mai nessuno facesse loro un tampone.
La china che stavamo discendendo negli ultimi decenni è divenuta all’improvviso precipitosa. Siamo rinchiusi ai domiciliari, sottoposti a controllo militare, spiati da droni ed app.
Prigionieri, infantilizzati, mentre il rumore delle ambulanze lacera l’aria, siamo indotti a credere di essere i responsabili del diffondersi inarrestabile del morbo, per nascondere le responsabilità di chi ieri ed oggi è al governo del paese e delle regioni.
Sia chiaro: tutelarsi e tutelare gli altri, con mascherine e restando a distanza, è oggi necessario: ciascuno di noi è responsabile dei propri atti. Noi anarchici lo sappiamo bene: per noi la responsabilità individuale è il perno di una società di liber* ed eguali.
Conte emette editti come un re e li comunica a reti unificate, mentre le opposizioni si limitano a dire che bisogna stringere ancora di più le maglie dei domiciliari di massa cui siamo sottoposti.
Hanno promesso elemosine e chi non riesce più a pagare fitti, bollette, ma sappiamo che quei fitti, quelle bollette sono solo rimandati.
In periferia la paura e gli scarsi introiti hanno fatto chiudere tanti negozietti alimentari di prossimità: facile prevedere che pochi riapriranno.
Intanto c’è chi non riesce a fare la spesa: presto le elemosine del governo non basteranno.
L’informazione ha sempre più i caratteri della corrispondenza di guerra, dove i nemici sono quelli che fanno una corsa o vanno ad un supermercato più lontano.
Chi racconta la vita ai tempi dell’epidemia viene minacciato di licenziamento.
Ogni giorno i media alimentano la diffidenza irragionevole, la caccia all’untore.
Vogliono evitare che germini il seme del dubbio, che cresca e si rinforzi la pianta della critica.
Tutti noi siamo stati collettivamente privati della possibilità di conoscenza e controllo sulla ricerca, la sperimentazione, la scelta degli obiettivi.
L’esercito non è in strada solo per controllare i trasgressori di norme che cambiano ogni tre giorni: in questo paese ci sono più poliziotti che medici. L’esercito è in strada con i blindati perché a qualcuno potrebbe venire il dubbio che le nostre case sono i lazzaretti dove, uno dopo l’altro, ci ammaleremo tutti. In silenzio.
Qualcuno attende che finisca, immobile. Invece, per quanto siano esili i margini, qualcosa si può fare.
Dobbiamo spezzare le catene dell’isolamento, con la solidarietà, il mutuo appoggio, la costruzione di reti che ci rendano più autonomi rispetto all’istituito, più capaci di scambiarci le informazioni sulla vita quotidiana al tempo dei domiciliari di massa, di far arrivare una mascherina o un pacco di pasta dove serve, di reclamare collettivamente il tampone per chi è malato e chiuso in casa.
Questo è uno spazio di autogestione e mutuo appoggio. Noi non forniamo servizi ma promuoviamo la pratica dell’autorganizzazione dal basso, come sempre nella vita “normale”.
A proposito… Noi a quella “normalità” non vorremmo tornare. Mai più. É una normalità violenta, gerarchica ed escludente, che di fronte all’epidemia ha mostrato il suo volto più violento e autoritario.
Le esperienze di solidarietà e mutuo appoggio che noi e tanti altri stanno sperimentando in questi giorni, saranno il seme da cui far germinare percorsi di lotta e autonomia dalle regole feroci del profitto e del dominio.”