Aggiornamenti dalla campagna Defend Rojava. L’economia anticapitalista nell’Amministrazione Autonoma

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L’intera intervista è consultabile sul sito dell’Accademia per la Modernità Democratica.

Nella notte del 19 luglio 2012, con la presa da parte della popolazione dei silos di grano a Kobane, inizia quella che passerà alla storia come la rivoluzione del Rojava.

La scelta dei silos di grano non è casuale, essi infatti rappresentavano l’economia derubata al popolo da parte dello stato. Durante il regime, questa fetta di Siria era considerata il granaio del paese, lo stato possedeva le terre, decideva il prezzo del grano, forniva le sementi e raccoglieva tutto una volta pronto: nessuno dei produttori aveva il minimo controllo delle decisioni che venivano prese sulla produzione.  Nella regione poi non erano sviluppate attività industriali, non era necessario e le poche industrie presenti, erano industrie statali e si dedicavano alla trasformazione dei prodotti agricoli. La popolazione viveva allora in uno stato di deprivazione e sudditanza ma la notte della rivoluzione, il popolo del Rojava, decide di riprendersi l’economia della propria terra.

Nel corso degli ultimi 12 anni l’esperienza accumulata è stata parecchia, lo racconta Azize Aslan in una recente intervista che potete leggere in forma integrale sotto questo podcast.

Il processo rivoluzionario in atto si può spiegare con i termini che sono propri del movimento curdo: fare-distruggere-rifare; cioè, un processo di sperimentazione basato sull’autocritica della pratica al fine di creare un proprio modello.

Prima di entrare nei dettagli specifici della sua organizzazione, sottolineiamo che l’economia sociale  ha una doppia strategia: da un lato, mira a limitare il capitalismo (o a resistere al capitalismo), il quale va di pari passo con l’economia di guerra; dall’altro mira a rafforzare l’autogestione economica (autodifesa economica) del popolo creando nuovi spazi e relazioni socio-economiche.

L’economia del Rojava si basa sull’autogestione attraverso comuni, assemblee e cooperative. La partecipazione democratica in ogni settore dell’organizzazione della vita è infatti uno dei caposaldi della rivoluzione.  Il primo atto intrapreso dall’amministrazione autonoma ha riguardato le terre: quelle un tempo dello Stato siriano o di collaboratori di Daesh sono state comunalizzate: non appartengono a nessuno, ma tutti possono usarle. L’agricoltura è il settore più sviluppato ed è ritenuto prioritario perchè risponde ad un bisogno fondamentale, il cibo.  L’agricoltura si fonda su cooperative temporanee che garantiscono l’uso rotativo della terra e promuovono la diversificazione delle colture. Ogni due anni, le terre vengono assegnate ad altre cooperative, per garantire a più persone possibili di poter accedere al lavoro agricolo.

Anche l’industria, ridotta a fabbriche leggere e locali, è progettata secondo criteri di sostenibilità ambientale e sociale. La produzione non è finalizzata al profitto, ma al soddisfacimento dei bisogni collettivi.

Le cooperative, considerate il terzo pilastro dell’autonomia insieme a comuni e assemblee, sono uno strumento essenziale per costruire un’economia condivisa e solidale. L’obiettivo dichiarato è “una cooperativa in ogni comune”, per rendere la vita economica pienamente collettiva e partecipata.  Esse sono viste come un progetto di organizzazione politica a cui partecipano tutti i settori della società. Le cooperative sono viste come la “dimensione di costruzione” dell’autonomia democratica. Per implementarne l’uso sono state istituite le “Case delle Cooperative” che hanno il compito di sostenerne la nascita e la diffusione ma l’obiettivo non è semplicemente quello di creare delle cooperative come istituzioni produttive, ma di cercare un accordo collettivo per rendere cooperativi tutti i processi produttivi della comune, cioè per collettivizzarne la vita economica.

Nonostante la presenza di dinamiche di mercato ancora legate al capitalismo, l’amministrazione autonoma controlla prezzi e commerci, promuovendo mercati popolari e filiere solidali.

L’autrice dell’intervista infatti sostiene che dopo anni di asservimento della società ad un’economia programmata dallo Stato (per arabi e curdi) vi è una forte spinta capitalista alla creazione dell’impresa privata. l’amministrazione lavora per diffondere l’idea delle cooperative, in maniera capillare, per liberare l’economia dal capitalismo.

Un’attenzione particolare è riservata all’economia delle donne, organizzata in modo autonomo attraverso le strutture del movimento Kongra Star, che valorizza il sapere, la cura e la produzione delle donne.

Le donne si organizzano infatti  prima in ambito autonomo e poi in ambito misto. Le donne si organizzano quindi sui propri ambiti, a partire dalla questione della donna. Con la creazione di istituzioni autonome democratiche, seguendo gli stessi modelli organizzativi dal basso: è quindi possibile parlare di ruolo della donna in tutti gli altri ambiti della società, capace quindi di restituire una posizione specifica con il proprio punto di vista e la propria comprensione.

Attualmente in Rojava non si è ancora superato il legame di alienzione che vincola le persone attraverso il salario. Il superamento avviene nel momento in cui l’intero sistema economico elimina il lavoro salariato legato al denaro, permettendo di eliminare il valore di scambio a favore del valore d’uso. A livello lavorativo ciò consiste nella diffusione del lavoro per la soddisfazione dei propri bisogni, creando lavoro autentico che non crea surplus, accumulo e sfruttamento. A livello economico significa legare la produzione ad un sistema chiuso e autoreferenziale, che si alimenta da sé. Questo è il fine dell’economia sociale-comunitaria-democratica.

Le cooperative hanno questo fine ma sono molto lontane. Sono costituite da moltissime persone ma solo poche lavorano. In qualsiasi caso a tutti i socie viene redistribuito l’utile della cooperativa, ma comunque chi ci lavora lo fa da salariato.

Gli aspetti positivi sono a proposito sono

  • assenza di capi diretti nelle cooperative, e quindi autogestione con assemblee giornaliere
  • Lavoro solo 6 ore al giorno, per permettere di partecipare alle assemblee politiche e alla vita della comunità

Rispetto alle sfide, vi sono fattori esterni come gli attacchi militari, l’embargo economico e la intromissione del dollaro come moneta circolante nella regione, che rafforza gli enti commerciali e indebolisce la popolazione. Questi elementi sono legati e rafforzano altre contraddizioni interne: innanzitutto, il sistema cooperativo attualmente non è capace di occupare una grossa fetta della popolazione; dal canto suo la società non lega ancora (totalmente) il lavoro alla riproduzione e costruzione dell’autonomia, che concepisce il lavoro come lavoro rivoluzionario. Un ostacolo a ciò è la mancanza di infrastrutture, che moltiplicherebbero gli ambiti di lavoro agricolo.

Un processo rivoluzionario questo che stiamo raccontando quindi non privo di contraddizioni e sfide. Da un punto di vista teorico però tutto è guidato da una visione e un programma chiaro che ha tre principi fondamentali che sono gli assi teorici della concezione dell’economia della modernità democratica: un’economia democratica, ecologica e di liberazione per le donne.

Sebbene la teoria della lotta di classe del marxismo non venga rifiutata, la contraddizione principale viene riconosciuta in quella tra la società e le forze monopolistiche costituite dallo Stato, dalla borghesia e dal sistema patriarcale. Pertanto, l’economia sociale, così come intesa in Rojava, emerge come un’alternativa sia al liberismo economico che alla pianificazione centralizzata. Entrambe sono viste come forme monopolistiche.

Sulla base della visione di Öcalan, la prospettiva del confederalismo democratico definisce l’economia capitalista come un’anti-economia e insiste sul fatto che in un’economia reale il soggetto decisionale dovrebbe essere la società. Sostiene che dare voce a tutti gli individui della società nei processi di produzione, consumo e distribuzione democratizzerà l’economia. Sebbene la teoria della lotta di classe del marxismo non venga rifiutata, la contraddizione principale viene riconosciuta in quella tra la società e le forze monopolistiche costituite dallo Stato, dalla borghesia e dal sistema patriarcale

In sostanza, l’economia sociale si basa sul cooperativismo e sulla collettivizzazione dei processi lavorativi e dei mezzi di produzione. Un obiettivo fondamentale è l’eliminazione del rapporto salariale, cioè lo sfruttamento del lavoro individuale. È anche fondata sulla produzione di una vita comunitaria in condizioni di autosufficienza. Tuttavia, l’autosufficienza non è intesa come produzione e soddisfazione di tutti i bisogni a livello di una singola comunità, ma si basa su relazioni di scambio eque, democratiche e di reciprocità stabilite tra le comunità o, come in Rojava, tra le comuni. In altre parole, si basa sulla comprensione e sulla edificazione dell’economia come campo di decisione etica e politica. Si basa sul funzionamento armonioso di meccanismi di autogestione sociale come comuni, assemblee e cooperative.

In altre parole è un’economia che si basa su principi etici e politici,  in cui la società decide, in cui la natura non è vista come un input ma come un soggetto sociale e integrato nella vita comune, e in cui le donne guidano il processo  con il loro sapere e la loro saggezza non capitalizzata.

 

 




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