Bello come una prigione che brucia [6 maggio 2019]

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Due femminicidi, commessi a pochissima distanza da membri delle forze dell’ordine, non hanno suscitato alcuna reazione della macchina comunicativa fascio-leghista, mentre, probabilmente per distrarre dal fatto che i due resposabili dell’ultimo stupro mediatizzato (militanti di Casapound) fossero politicamente e culturalmente perfettamente allineati alla propaganda Salviniana, ecco calare la carta della castrazione chimica.

Tranne rarissime e circostanziate eccezioni, la corince legislativa – a livello internazionale – prevede la somministrazione della terapia per l’inibizione della produzione di testosterone come percorso volontario, accettato da parte del condannato; nel palcoscenico politico italiano viene invece rappresentata come punizione corporale mediata da un farmaco.

Nonostante alcune statistiche cliniche dimostrino come non vi sia una relazione diretta tra alti livelli di testosterone e reati sessuali, un aspetto centrale della propaganda sulla castrazione chimica è la sua implicita riconduzione della colpa alla dimensione biologica dell’individuo. Non c’è da stupirsi se chi sventola bambole gonfiabili, augura lo stupro alle avversarie politiche ed è il mandante di migliaia di stupri sistematici nei lager libici, deresponsabilizzi i fattori culturali e le relazioni di potere che producono i soggetti stupratori dando la colpa al testosterone.

 

Nella seconda parte della trasmissione andremo a parlare della crisi dei reclutamenti tra le forze dell’ordine statunitensi, un fenomeno che sta comportando l’allentamento delle maglie dei criteri di assunzione: dall’arruolamento di immigrati regolari a quello di soggetti con trascorsi di droga o piccoli precedenti penali.

Concludiamo questa puntata con una riflessione sul “reato di tortura” recentemente ipotizzato per sanzionare le vessazioni compiute da un gruppo di ragazzini contro un anziano marginalizzato. Insieme all’avvocato Michele Passione analizzeremo la natura di uno strumento coscientemente amputato della sua possibilità di interferire con gli abusi messi in atto da funzionari statali.




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