Burnout? la pillola non va giù

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La sindrome di Bornout è una forma di depressione dovuta al troppo stress accumulato sul lavoro. Individuata inizialmente nelle professioni socio-sanitarie, oggi questa sindrome attanaglia quasi tutte le categorie lavorative, infatti l’odierna configurazione del mondo del lavoro richiede prestazioni sempre più elevate al fronte di uno scarsissimo appagamento. Le nuove tecnologie hanno permesso di estendere l’attività lavorativa in ogni momento della nostra vita mentre la parcellizzazione del lavoro ha determinato l’isolamento totale del lavoratore. A queste si vadano ad aggiungere la precarietà, la competitività, turni più lunghi e compensi più bassi.

Diversi centri di ricerca e case farmaceutiche stanno cercando una soluzione medica a una sindrome che affonda le sue radici nell’alienazione prodotta dalla società capitalista. Le ricerche, naturalmente sperimentate sugli animali, hanno dimostrato come la scarsa gratificazione aumenti la produzione di nocicettina, un neuromodulatore che ci porta a uno stato di frustrazione e stanchezza che sfocia in un vero e proprio esaurimento. Questa sostanza ostacola la produzione di dopamina che, al contrario, ci spinge a cercare soddisfacimento e gratificazione.
Ma un farmaco che andrebbe a bilanciare la produzione di questi neuromodulatori creerebbe uno scompenso ancor più grave: i sintomi lanciati dal nostro corpo e dal nostro cervello rimarrebbero inascoltati per poter continuare uno stile di vita e un lavoro deterioranti.

La medicalizzazione dell’esistente è una toppa ad un sistema che ammala, isola e uccide. La fabbricazione di farmaci non determina la volontà di curare, ma bensì di creare persone dipendenti dall’industria farmaceutica e permettere in questo modo il perpetuarsi di una vita invivibile.

Ne parliamo con Andrea Signorelli:

 




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