La montagna ed il selvatico ai tempi del coronavirus: intervista a Luca Giunti, guardiaparco della Valsusa

La diffusione del contagio del Covid-19 è stata da tempo e da più voci correlata al problema della precarietà ambientale: in primis per il fatto che il cosiddetto “salto di specie” (spillover) del virus da alcuni animali all’uomo viene favorito dalla distruzione degli habitat naturali che ospitano queste specie selvatiche, che giungono per questo motivo (e per le eventuali attività di caccia e di commercializzazione dei loro corpi) ad un contatto ravvicinato con l’essere umano; in secondo luogo non è un caso che le zone più colpite da questa malattia siano da tempo caratterizzate da un forte livello di industrializzazione, iper-urbanizzazione e conseguente inquinamento, che non solo sembrerebbe consentire al virus di propagarsi maggiormente, ma compromette già in partenza il sistema immunitario e respiratorio delle persone che vivono in questi territori, rendendole più inclini ad ammalarsi.

Se c’è una lezione da imparare da questo momento difficile, è quella di andare a ragionare più a fondo nelle cause che l’hanno creato e nel rendersi conto che se dopo quest’esperienza non cambieremo radicalmente i nostri modi di vivere e di concepire il mondo che ci circonda, la “normalità” che ci sarà restituita rappresenterà un semplice intervallo tra questa crisi (sanitaria o meno) e la prossima.

Alcuni spunti per questo cambio di paradigma ci vengono forniti da Luca Giunti, guardiaparco della Valsusa, in un suo articolo (http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/ambiente/divulgazione/item/3486-cattivi-pensieri-di-un-guardiaparco-in-servizio-sulle-montagne-valsusine) che ci ha permesso di parlare di diverse tematiche, come quella della visione della montagna come “rifugio sepolto in fondo all’anima”, ovvero un luogo di richiamo e di necessità nei momenti duri della nostra vita, ancora di più in questo periodo in cui risulta (per i molti che vivono in città) irraggiungibile. Da questa presa di coscienza della necessità di frequentare degli spazi aperti e naturali nella nostra vita è possibile scaturisca un diverso approccio a luoghi come la montagna, da tempo sottoposta ad invasioni predatorie e turistiche mordi-e-fuggi?

La pandemia ci insegna, per sua stessa definizione, che il concetto politico di frontiera è una pura astrazione, infranta nella sua staticità dal costante attraversamento da parte non solo della malattia, ma anche da tutto quel mondo naturale che all’idea di confine sostituisce l’alternarsi e la sovrapposizione di habitat, in una continua fluidità e convivenza tra specie diverse, da cui avremmo molto da imparare.

Le restrizioni imposte dal decreto contro la diffusione del coronavirus hanno inoltre avuto degli effetti evidenti nella ri-frequentazione e ri-appropriazione da parte della fauna selvatica di zone attualmente prive di presenza umana: dai parchi cittadini milanesi in cui compaiono le lepri, al porto commerciale di Cagliari in cui tornano a nuotare i delfini, gli esempi di questo fenomeno sono tanti e ben documentati dai giornali, qual è la situazione attuale per gli animali selvatici delle montagne valsusine?

Per rispondere a queste e ad altre domande, abbiamo costruito questa lunga chiacchierata che potete ascoltare qui sotto:




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