La psichiatria uccide. Il caso di Francesco Mastrogiovanni

Venerdì 16 novembre
assemblea con Robertino Barbieri di Psychoattiva
precede uno spezzone del video su agonia e morte di Francesco Mastrogiovanni
alle ore 21 in corso Palermo 46
Per capire e per lottare contro quest’abominio
Anarres ne ha parlato con Robertino.

Ascolta l’intervista: [audio:https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/2012-11-16-robertino-antipsichiatria.mp3|titles=2012 11 16 robertino antipsichiatria]

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Il 31 luglio del 2009 Francesco Mastrogiovanni entra nell’ospedale psichiatrico di Vallo della Lucania. Gli è stato imposto un TSO – trattamento sanitario obbligatorio.
Ne uscirà morto.

Francesco fa il maestro, in quei giorni è in vacanza al mare. Lo accusano falsamente di aver tamponato qualche auto e invece di una multa lo portano in repartino.

Per eseguire il “ricovero” mandano decine di carabinieri armati di tutto punto. Francesco ha su di se il marchio dell’anarchico pericoloso: nel 1972 venne ferito durante un aggressione fascista, che si concluse con la morte dello squadrista Falvella, ucciso con il suo stesso coltello dall’anarchico Giovanni Marini, che intervenne per aiutare Francesco.
Nel 1999 venne arrestato perché protestava per una multa. Calci, pugni e manganellate, poi un’accusa di resistenza e lesioni. Il carcere, una condanna a tre anni, poi cancellata in appello.
Francesco era da anni nel mirino degli uomini in divisa, degli uomini al servizio dello Stato. Lo sapeva e aveva paura. Quando lo hanno preso per il TSO disse “se mi portano all’ospedale di Vallo non ne esco vivo”.
In un rapporto di polizia venne definito “incompatibile ai carabinieri”, uno che canta “canzoni sovversive”. Basta per dichiararlo matto: il sindaco firma senza esitare il TSO.

In ospedale viene sedato pesantemente e legato al letto: le mani in alto, i piedi in basso. Crocefisso.
Viene lasciato lì senza cibo, senza acqua, senza “cure”. Griderà di dolore, ma nessuno lo ascolterà: sanguina dalle profonde ferite ai polsi inflitte dai legacci. Man mano la voce di Franco si farà più flebile, nella sete di aria dell’agonia. Verrà liberato 92 ore dopo, quando era morto da quasi sei.
I suoi parenti non potranno vederlo né avere sue notizie. Solo la loro caparbietà a non credere alle bugie dei medici ha fatto sì che questo crimine non passasse sotto silenzio.

L’agonia di Francesco viene ripresa dagli occhi impietosi ed indifferenti di una telecamera. Mai tanto impietosi e indifferenti come quelli dei “medici” e “infermieri”. Mai chiusi come quelli dell’infermiera che asciuga il suo sangue, senza badare all’uomo che agonizza inchiodato al letto.
Al processo il Pubblico Ministero, lo stesso che aveva chiesto il carcere per Francesco, investendolo con accuse infondate, fa il processo alla vittima, minimizzando le responsabilità dei carcerieri.
Nel procedimento di primo grado, che si è concluso a fine ottobre, i medici sono stati condannati, gli infermieri assolti. Non siamo giustizialisti: le sentenze che privano della libertà qualcuno non ci fanno gioire.
La giustizia che vogliamo è quella che elimina le sbarre e i legacci, che chiude con gli orrori della psichiatria, in un mondo senza carabinieri. Sì, perché anche noi, come l’anarchico Mastrogiovanni, maestro elementare assassinato dalla psichiatria e dalla forze dell’ordine, siamo, inguaribilmente, “incompatibili con i carabinieri”.

Il caso di Francesco è la punta di un iceberg enorme, ma spesso invisibile.
A quarant’anni dalla chiusura dei manicomi la psichiatria continua a torturare e, qualche volta, anche a uccidere.
In parlamento da tempo c’è un progetto di legge per far riaprire le prigioni per i “matti”, discariche sociali per contenere e reprimere gli incompatibili.




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