Presentazione del libro sul fotoreportage animalista “Un Incontro Mancato” assieme agli autori

 

Ospiti in studio Benedetta e Stefano, rispettivamente autrice e fotografo del libro “Un Incontro Mancato”, un saggio che mette a fuoco la relazione tra fotografia e liberazione animale, tra modalità documentaristica e azione diretta, tra morte e individualità dell’animale d’allevamento. Queste riflessioni nascono dall’esperienza personale all’interno del movimento animalista, e tentano di ricostruire lo strappo tra due modalità differenti d’azione: quella più recente di fotoreportage, volta a una sensibilizzazione su larga scala, e quella “anonima” di apertura delle gabbie.

Una foto, come dice Roland Barthes, ha sempre un rapporto intrinseco con la morte, perché rappresenta qualcosa che non c’è più. E la consapevolezza che ciò che stiamo guardando attraverso una immagine non esiste più, ci turba, ci lascia un senso di vuoto. Ma per gli animali da allevamento è diverso, perché nell’ottica comune essi fanno parte di una macro-categoria, il loro processo produttivo è cosi rapido che si pensano interscambiabili, e non si è portati a riflettere sul dolore individuale dell’animale, ma alla sorte comune che loro toccherà. Le campagne di sensibilizzazione animale puntano proprio sullo scandalo e sulla rappresentazione della crudeltà, ma la liberazione animale dovrebbe andare oltre all’abuso, per colpire l’intero sistema, che controlla e opprime la vita dell’individuo nella sua totalità, prima della nascita e dopo la morte.

Nell’era dei social networks e dell’iper-saturazione di immagini, occorre saper offrire una narrazione alla fotografia per garantirne un corretto approccio, per far conoscere la reale storia dell’animale immortalato senza scadere nella pornografia della violenza, che spesso non è altro che una strumentalizzazione, o meglio una mistificazione, della sofferenza animale.

La fotografie presenti nel libro suscitano principalmente i sentimenti d’impotenza e d’insostenibilità, due stati d’animo dovuti alla nostra prospettiva, quella della libertà, che alla vista di tali atrocità si piega sotto al peso dell’impossibilità di agire.

L’animale è stato la prima “macchina” per l’industria, ma oggi è l’industrializzazione a rendere tutto una macchina, poiché l’industria odierna punta alla serializzazione dei suoi fattori produttivi: macchinari, animali o operai devono essere standard e intercambiabili. Ma all’interno del processo di produzione oggi l’animale non è altro che materia prima, ed il suo corpo si è adeguato ai macchinari e ai ritmi che gli vengono imposti.

Naturalmente da questa logica non sono esenti gli allevamenti a terra o biologici, perchè rimangono comunque allevamenti intensivi, come dimostrato dalle foto presenti nel libro scattate all’interno di allevamenti “green”.

Mentre non si possono interpretare correttamente i sentimenti animali per via dello spiccato antropomorfismo della nostra società, si può invece uscire dalla visione piatta e vittimistica che si ha degli animali in gabbia, restituire loro rabbia e dignità, e riconoscerne la capacità di resistenza al sistema industriale che li opprime, così da far passare il problema dello sfruttamento animale da questione etica a questione politica, che è proprio la grande sfida del movimento di liberazione animale.

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