Il business dell’educazione vaticana
Scritto dainfosu 6 Novembre 2013
Non si è ancora spenta l’eco dell’aspra polemica che ha scosso il consiglio comunale torinese sulla vicenda dei “corsi sull’omosessualità” basati sulla concezione cattolica. Questi corsi, ormai cancellati, erano promossi dall’istituto privato Faa di Bruno, una delle tante scuole che a Torino ricevono lauti finanziamenti dal Comune.
Al di là di questa vicenda in cui entrano in collisione la libertà di espressione e la tutela della libertà di tutti e di tutte di esprimere il proprio orientamento sessuale, la questione vera è il finanziamento pubblico di scuole confessionali in funziona supplettiva degli istituti pubblici, decimati da tagli di spesa e di personale ormai da moltissimi anni. Il vecchio motto “chi crede in dio, se lo preghi e se lo paghi” non ha effetto sulle scelte di una classe politica, che dopo la diaspora democristiana, gioca le proprie fortune all’ombra del Vaticano. Un gioco facile quando al governo e all’opposizione si trovano gli eredi post-moderni della balena bianca.
Per capirne di più abbiamo deciso di fare i conti in tasca ai preti.
Per loro niente Imu se reinvestono gli utili, mezzo miliardo di euro all’anno di finanziamenti statali, altre decine di milioni da regioni e comuni. Più, ovviamente, le rette pagate dalle famiglie. Gli insegnanti di religione negli istituti pubblici, pur nominati dalla curia, vengono preti pagati dallo Stato, per fare propaganda cattolica dalle scuole per l’infanzia a quelle superiori. I preti a scuola ci costano un miliardo di euro all’anno.
Se a questo si aggiunge l’8% per mille, che, anche per chi non sceglie nessuna chiesa e nemmeno lo Stato, finisce con il versare alla chiesa, il quadro è completo.
Ne abbiamo parlato con Cosimo Scarinzi della CUB Scuola.
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