L’ultimo jolly per scongiurare la profezia di Gheddafi
Scritto dainfosu 20 Maggio 2014
Gheddafi lo aveva detto: “O me o il caos”. In fondo, non suonava affatto come un sparata alle orecchie di chi conoscesse bene la Libia e la delicata architettura messa in piedi dal fu colonnello Gheddafi. Architettura complessa e delicata, tenuta in piedi sul piano interno grazie ai proventi delle ricchezze naturali del suolo (gas e petrolio) e sul piano internazionale grazie al ruolo (in sé spietato) di regolatori del flusso di migranti africani verso le coste europee. Da subito in molti denunciarono l’imbecillità, fuori da ogni categoria morale, dell’appoggio occidentale ai cosiddetti insorti libici, appoggio in cui la Francia e gli Usa giocarono un ruolo fondamentale e in cui l’Italia fu trascinata contro i propri interessi strategici. Nessuna strategia di lungo termine, forse la speranza di balcanizzare, in una logica di spartizione, la ricca terra che diede i natali a Omar Al Muhktar. Ora è tutto uno affannarsi di pseudoanalisti per dire che la Libia rischia di precipitare nel caos (finora cosa è stato?), che la guerra civile è alle porte. In realtà il caos in cui la Libia lentamente sta scivolando è qualcosa che faremmo benne a chiamare somalizzazione, ovvero un’implosione che non lascia sul terreno che minuscoli frammenti, che non segue le linee note delle regioni storiche libere ma quello dei legami di sangue e delle appartenenze tribali e religiose. Tutto questo agitarsi dei media occidentali trova in definitiva una ragione nel fatto che Usa e Egitto, principali attori (a livello globale il primo e regionale il secondo), hanno finalmente trovato il loro campione, Khalifa Haftar. Naturalmente è un militare cresciuto alla corte di Gheddafi e poi esiliato in Usa dopo la guerra del Ciad: abbastanza amato in Libia (dai ribelli laicisti e tollerato dai fedelissimi di Gheddafi); molto vicino agli Usa (che lo hanno protetto e alloggiato per oltre vent’anni); unito ad Al Sisi (il grosso vicino egiziano) da una forte avversione al radicalismo islamico. Se poi andiamo alla conta delle forze in campo, pezzi importanti di esercito, le più importanti basi dell’aviazione militare (Benina e Tobruk) e molti generali con i propri reparti, stanno passando con Haftar. Intorno comunque e il caos. Per ora i combattimenti sono fermi o si limitano a schermaglie, ma i problemi restano tutti sul tappeto e il rischio di una guerra civile di stampo confessionale potrebbe essere alle porte.
Tra i primi, il professor Angelo Del Boca, storico torinese che per primo denunciò i crimini dell’esercito coloniale italiano in Libia, parlò di somalizzazione della questione libica. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente in mattinata