Lotta agli sfratti. Anatomia di un teorema repressivo
Scritto dainfosu 4 Giugno 2014
Il giorno dopo la grande operazione repressiva contro il movimento per la casa a Torino è tempo per un primo bilancio. I numeri, nella loro cruda semplicità, ci restituiscono la vastità dell’operazione. 111 indagati, 12 attivisti in carcere, 4 ai domiciliari, 4 obblighi di dimora, 4 divieti di dimora, 4 obblighi di firma.
I pubblici ministeri Pedrotta e Rinaudo stanno tentando di scrivere la parola fine ad una stagione di lotte, che, specie nel primo anno, è stata molto vivace ed efficace.
Dal 2012, la lotta per la casa, inizialmente forte solo a San Paolo, si è estesa a Barriera di Milano e Borgo Aurora, riuscendo a coinvolgere attivamente anche alcune famiglie di sfrattati, diventate protagoniste attive sia nella resistenza sia nella pratica dell’occupazione abitativa. Le scelte della questura, che ha tentato di mettere in difficoltà gli attivisti, concentrando nel terzo martedì del mese numerosi sfratti, si è rivelata un boomerang, perché quella giornata ha catalizzato una vasta partecipazione di attivisti di vari luoghi. Nei momenti migliori la polizia non ha potuto fare altro che stare a guardare, temendo che un attacco diretto a famiglie in lotta avrebbe potuto innescare processi solidali difficilmente controllabili.
La strategia della Questura si è così modificata, mettendo in campo l’opzione, consentita dalla legge ma nuova nella pratica, degli sfratti a sorpresa. Nello stesso periodo sono scattate le prime manovre repressive contro gli attivisti e le pressioni nei confronti degli sfrattati in lotta.
L’operazione del 3 giugno è il coronamento di un lungo attacco al movimento per la casa a Torino.
Prudentemente, Rinaudo e Pedrotta si sono astenuti dal proporre un reato associativo, consapevoli della concreta possibilità che cadesse in sede di Cassazione, come è accaduto per la mega inchiesta contro gli antirazzisti per il ciclo di lotte tra il 2008 e il 2009.
La Procura guidata da Spataro pare agire in perfetta continuità con l’azione del procuratore capo Giancarlo Caselli: torsione delle norme esistenti per ottenere arresti e processi incentrati su reati gravi, come sequestro di persona, estorsione, violenza a pubblico ufficiale.
Reati, che nella comune percezione rimandano a ben altre condotte rispetto a quelle di una lotta sociale, condotta con picchetti antisfratto miranti ad ottenere proroghe, cortei spontanei e proteste alla sede degli ufficiali giudiziari.
Torino è una polveriera sociale: ogni anno in città vengono eseguiti 4000 sfratti, che coinvolgono in media 10.000 donne uomini bambini.
La vittoria netta del partito democratico alle elezioni europee e la secca affermazione di Chiamparino alla guida della Regione Piemonte hanno dato al governo la forza di pigiare sul pedale della repressione.
Già ieri, nell’immediatezza degli arresti c’é stata una prima risposta. Una assemblea cui hanno preso parte tutte le componenti di movimenti di opposizione sociale a Torino ha espresso immediata solidarietà agli attivisti colpiti dalla repressione. In serata un centinaio di persone ha dato vita ad un corteo che attraversato le vie del quartiere.
Sabato 7 giugno alle 18,30 c’é un appuntamento al capolinea del 3 per un presidio al carcere. In preparazione anche una manifestazione per sabato 14.
Ne abbiamo parlato con Jack dell’Asilo occupato.
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