La guerra santa ai tempi del neoliberismo

Scritto dasu 13 Gennaio 2015

Quando e perché, come e dove si genera il terrorismo che il 7 gennaio ha massacrato Charlie Hebdo, ma prima s’è manifestato in tante occasioni e non solo col marchio “islamista”? La letteratura sull’argomento è ormai enorme, ma anche le descrizioni a volte corrette sono lacunose e mancano della lettura sufficiente per capirne le “radici” e gli eventuali rimedi.

Cerchiamo di andare alle radici: questi “radicalizzati” sono il prodotto di un preciso contesto (frame), cioè il frutto di una precisa costruzione sociale. È esattamente la conseguenza della profonda destrutturazione liberista dell’assetto economico, sociale, culturale e politico della società industriale in cui prima si situava l’immigrazione e i figli di immigrati e in generale delle classi subalterne o anche delle classi medie (che anche allora si rivoltavano diventando criminali – si pensi alla banda Cavallero e altri casi del genere – e in alcuni casi anche lottarmatisti – si pensi a diverse biografie dei “rossi” e dei neri in Italia e altrove). Il liberismo ha smantellato il welfare, l’inserimento pacifico, l’assimilazionismo, l’integrazione sociale e culturale (di destra e di sinistra) (vedi Robert Castel) e ha innescato la criminalizzazione razzista. Le rivolte nelle banlieues cominciano nel 1985 ed emerge allora anche il lepenismo dapprima come razzismo anti-immigrati e antisemitismo e via via contro l’égalité e la solidarité

È questo che il liberismo è riuscito a realizzare: l’erosione dell’agire politico, l’impotenza dell’azione politica per negoziare col potere. L’asimmetria di potere che s’è sviluppata con il liberismo ha eroso le possibilità di agire collettivo pacifico. Ecco perché il fenomeno del radicalismo islamista, come altri radicalismi o anche l’auto-distruzione e i suicidi “postmoderni”, è un “fatto politico totale”: investe tutti gli aspetti e sfere dell’organizzazione politica della società e degli esseri umani.

Oggi però questa era presuntamente post-ideologica ma profondamente intrisa di ideologie postmoderne ci interroga su questo presente che ci vorrebbe intruppati in uno o nell’altro schieramento, senza via di fuga.

Diciamo dunque che vediamo nettamente un’organizzazione sociale informata dal razzismo e dalle disuguaglianze che fa della libertà astratta un idolo cui sacrificare libertà concrete e vite umane e contemporaneamente sull’altro fronte assistiamo a una chiamata generica e folle, una islamizzazione del tutto nuova, veloce come uno spot pubblicitario, che chiede un adesione superficiale ma senza ritorno. Qui lo scontro è tutto a livello dell’ideologia. Non tanto uno scontro di civiltà ma piuttosto lo spettacolo di uno scontro di civiltà. Già, viene in mente Debord: “Il parallelismo stabilito da Gabel (La falsa coscienza) tra l’ideologia e la schizofrenia deve essere situato all’interno di questo processo economico di materializzazione dell’ideo­logia. Ciò che l’ideologia era già, la società lo è diventata”.

Ne abbiamo parlato con Salvatore Palidda, docente di sociologia della devianza e del controllo sociale all’università di Genova.

 

Palidda

 

 

 


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